Cosa ci insegna la ragazza pakistana

Quando la cronaca si ripete come destituita delle necessarie acquisizioni

Il caso della ragazza pakistana sovverte il relativismo culturale predicato come forma attuale di integrazione.

Come non si può provare la più profonda indignazione, risentimento, rabbia nei confronti della tragica fine di una ragazza che voleva semplicemente scegliere il ragazzo da amare, rifiutando nettamente ogni pressione da parte della famiglia?

Ma questo introduce un altro principio altrettanto pericoloso che riporta al centro dell’universo la cultura illuminista e cartesiana che pone l’europeo come dominator e possessor mundi.

Si potrebbe anche dire: come non accettare in tutto l’emisfero terracqueo la cultura dell’Illuminismo come direzionale nel mondo?

Le categorie che derivano dall’industrialismo hanno fatto breccia ovunque e, di fatto, governano il mondo: dalla Cina che si dice ancora comunista, alla Russia che non lo è più, dall’India che sta tentando con grandi contraddizioni un processo di crescita distributiva conseguente al livello di evoluzione tecnica, dall’Africa composta di mille diverse realtà ciascuna alle prese con un proprio disegno di autonomia… Tutte fanno riferimento a quel grande processo dettato da quella che un tempo si sarebbe chiamata “la logica del capitale”. È questa logica che ha creato il liberalismo, l’autonomia del soggetto che si pone come creatore di Sé stesso.

Il pensiero relativista, che riteneva possibile le convivenze tra diversi, oppure l’utopia della comunità dei popoli liberi dalle loro catene, sono due pensieri sociali storicamente sconfitti.

Di qui, dagli individui che non si pongono come massa, bensì come aggregato consapevole della società di cui fanno parte, il diritto dei popoli ad auto-determinarsi. E le persone non possono essere diversamente.

Se si affermasse ciò come valore universale acquisito dall’umanità saremmo riproduttori di una logica imperialista?

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