GUIDONIA – I 70 anni di Padre Riccardo, l’ex parroco di Colleverde

Per 15 anni resse la comunità di San Remigio, dal 2014 è a Praga. Da ex ufficiale dell’esercito del generale Jaruzelski alla vocazione, la storia del prete polacco che ha lasciato un segno nel quartiere. Chi lo ricorda?

Per tre lustri ha retto la comunità della frazione. Oggi, sabato 16 maggio, compie 70 anni Ryszard Bockowski, per tutti padre Riccardo, il sacerdote che per 15 anni è stato parroco della chiesa di San Remigio a Colleverde di Guidonia. Il prete polacco, nei confronti del quale quando fu designato più di qualcuno storse il naso e pensò di raccogliere le firme per evitare che il vecchio parroco lasciasse il posto al connazionale di Papa Wojtyla.

Da settembre 2014 Padre Riccardo è a Trutnov, vicino Praga, una città di 5 mila abitanti col 10 per cento di cattolici, e sarà il pastore di soli 80 fedeli. Ma a Colleverde tutti lo ricordano con affetto anche perché dal 19 settembre del 1999 fino al suo addio celebrò qualcosa come mille battesimi, 1.350 comunioni, 820 cresime, 504 funerali, 120 nozze d’oro, 160 d’argento e 83 matrimoni. Bockowski lasciò al suo successore, Miroslaw Komorowski per tutti padre “Mirko”, un quartiere più popoloso ma soprattutto una parrocchia letteralmente trasformata sia rispetto a quando tra il 1981 e l’85 fu retta da monsignor Giovanni Battista Mocata sia durante i 14 anni di gestione (1985-1999) di don Alfio D’Agostino.

Tant’è che se quest’ultimo chiuse l’oratorio padre Riccardo lo riaprì per realizzare il campo sportivo, il parco giochi e perfino il teatro, ha rifatto il tetto della chiesa, l’impianto dell’acqua e la centrale termica, l’impianto di amplificazione, i confessionali, il battistero, ha affittato i locali alla scuola del quartiere, ha restaurato la cappella feriale con uno spazio dedicato a San Giovanni Paolo II e rinnovato i locali Gruppo Scout e della Caritas, al suo arrivo adibiti a magazzino. Un prete “operativo”, sveglia alle 5,30 per una passeggiata di 6 chilometri a piedi, come ai tempi in cui era un ufficiale dell’esercito del generale Wojciech Jaruzelski. Nato il 16 maggio 1950 ad Adelina, una cittadina vicina alla frontiera ucraina e a 180 chilometri da Varsavia, ultimo di tre figli di genitori contadini, Ryszard Bockowski dopo il liceo classico a 18 anni entrò in Accademia militare: quattro anni di formazione e altri tre da sottotenente a Poznan, il passo dalla divisa alla tonaca fu breve.

“Per condurre i miei soldati alle esercitazioni in un bosco – raccontò a Tiburno in un’intervista pubblicata a luglio 2014, alla vigilia del suo addio a Colleverde – passavamo davanti a un convento dei Missionari. Fu come un innamoramento, un pensiero costante mi entrò nella testa e nel cuore. Ma erano gli anni del Comunismo, quelli in cui un militare non poteva andare in chiesa e pregava solo di nascosto, per me che venivo da famiglia molto religiosa fu una sofferenza”. Quando lasciò l’Esercito? “Era il 1976, mio padre era molto malato di cancro e viveva a 600 chilometri dalla caserma, per cui chiesi il trasferimento: mi fu rifiutato, abbandonai la vita militare per entrare in seminario e l’11 giugno 1983 fui ordinato sacerdote. Un anno in Polonia, sette a Roma, poi nel 1992 di nuovo in Polonia a Rzeszow, dove fondai una nuova parrocchia e un centro diurno per 40 ragazzi disabili”.

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E infine Colleverde. Che clima trovò?

“I fedeli erano divisi per la partenza di don Alfio, qualcuno raccolse le firme contro i preti polacchi, che in cassa trovarono soltanto 17 mila lire e non avevano nemmeno i soldi per il riscaldamento. Così una signora ci donò una stufa, un’altra ci portava il pranzo e ha continuato a farlo fino ad oggi. Insomma, gli inizi furono difficili, poi pian piano tutto è cambiato”.

Di cosa va fiero?

“Nel vedere la gente che si rispetta. Al mio arrivo c’erano litigi tra i gruppi pastorali, si sentivano concorrenti, mentre oggi hanno coscienza di lavorare tutti per un bene più grande”. Che parroco è stato? “Ho proposto e aspettato, non ho mai imposto”.

Quanta gente veniva a messa?

“La domenica il 15 per cento della popolazione. Consideri che ogni volta sono stati raccolti 450 euro di offerte, una comunità molto generosa soprattutto a favore delle missioni e dell’Unitalsi”.

Centoventi nozze d’oro, 160 d’argento e 83 matrimoni: perché così pochi?

“I ragazzi del quartiere fanno il corso, poi vanno a Roma per tradizione o per moda. Molti dicono perché la chiesa ha due entrate. Ma c’è anche un altro motivo”.

Quale?

“Per anni ho celebrato matrimoni alla messa domenicale delle 10,30 e non tutti lo hanno condiviso: ora lo faccio più raramente”.

Anche lei ha cambiato opinione?

“Non proprio. Alcuni anni fa la sposa si presentò all’altare con oltre mezz’ora di ritardo e da allora per rispetto dei fedeli ho cambiato”.

E in quella mezz’ora che avvenne?

“Aspettammo pregando tutti insieme, quando arrivò la comunità accolse la sposa con un grande applauso”.

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Quante coppie ha visto scoppiare?

“Purtroppo parecchie”.

E lei che ha fatto per salvarle?

“Il possibile. Ho convocato entrambe, ma spesso non venivano insieme e ciascuno dava una propria versione: fatto sta che una su dieci sono rimaste insieme”.

Quale il problema?

“Non sanno dialogare, non sono capaci di donare e rispettarsi, non conoscono i rispettivi bisogni, l’uno pretende troppo dall’altra e viceversa. Ogni anno ho tenuto due corsi matrimoniali di 10 incontri ciascuno, me ne sono capitate di coppie mal assortite a occhio nudo, ma io più di chiedere loro se hanno pensato bene al matrimonio non posso fare”.

Qualche esempio?

“Purtroppo ho visto ragazzi lasciarsi anche dopo tre mesi, ma mi è capitata anche una coppia che dopo 15 anni di unione e con figli non si sopportava più. Ebbene, lui se ne andò con un’altra e dopo tre anni tornò, ma oramai era un uomo diverso: continuano a stare insieme per i ragazzi e il patrimonio”.

Il funerale celebrato che l’ha più commosso?

“Quello di un ufficiale della Croce Rossa morto affogato per salvare il figlio e quello del bimbo soffocato al centro commerciale”.

Ha un rimpianto?

“Purtroppo sì”.

Quale?

“L’essermi occupato poco dei poveri in modo personale. E’ vero che abbiamo incrementato l’attività della Caritas, un organismo ufficiale che attende l’arrivo della gente bisognosa. Ma non abbiamo sviluppato allo stesso modo una strategia per andare a cercarla quella gente bisognosa a causa dei miei troppi impegni. Consideri che l’80 per cento della giornata l’ho dedicata alla soluzione di incombenze materiali e il restante 20 per cento alle attività pastorali”.

Un consiglio al suo successore.

“Non creare regole perché non servono. Essere buono e aperto, trovare tempo per i parrocchiani e valutare ciascuna persona per come è”.

E ai suoi parrocchiani cosa consiglia?

“Di restare come sono”.

Tornerà a Colleverde?

“Di tanto in tanto sì. Mi farà piacere ritrovare tanti amici e conoscenti”.

Il ricordo più bello che porterà con sé dell’esperienza a San Remigio?

“Non esiste un popolo così generoso, disponibile e rispettoso come quello italiano: è puro e innocente come i bambini. Proprio stando qui ho capito perché Pietro si fermò a Roma per fondare la Chiesa”.

Marcello Santarelli

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