Tre cinghiali risultati positivi alla trichinella: cos’è

Sono stati gli specialisti del servizio veterinario della Asl di Frosinone a identificare il parassita e a inviare alla distruzione gli animali

Tre cinghiali selvatici, abbattuti a caccia nel corso della stagione venatoria appena iniziata, sono risultati positivi alla trichinella.  Sono stati gli specialisti del servizio veterinario della Asl di Frosinone a identificare il parassita e a inviare alla distruzione gli animali.

Cos’è la trichinella

La trichinella è un parassita che colpisce i mammiferi, determina nell’uomo la “Trichinellosi”, malattia a trasmissione alimentare che può assumere anche una forma grave.

I sintomi, inizialmente intestinali o allergici, – spiegano dalla Asl – dipendono dalla localizzazione del parassita all’interno dell’organismo umano in quanto le larve migrano nei muscoli ed organi di che le ingerisce. Sono portatori del parassita i cinghiali o i suini allevati allo stato brado , e gli equini, soprattutto di importazione, le cui carni sono consumate non cotte sotto forma di carpaccio”.

L’attività di prevenzione messa in atto dai Servizi Veterinari della ASL di Frosinone (Ispezione Alimenti) con le associazioni territoriali di caccia, ha permesso nel tempo di garantire una rapida identificazione ed eliminazione dei soggetti a rischio. Nell’ultimo triennio  sono stati identificati in provincia nove capi parassitati dalla trichinella.

Tutti i cinghiali cacciati infatti devono essere sottoposti a controllo trichinoscopico perché l’identificazione degli infetti consente di interrompere la catena di trasmissione del parassita sia tra gli animali sia soprattutto dagli animali all’uomo. L’elusione di quest’obbligo espone il consumatore al contagio ed alle conseguenze della malattia.

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La trichinella: ecco come si insinua la malattia

La trichinellosi è una zoonosi causata dall’ingestione di carne cruda o poco cotta derivante da suini, cinghiali ed equini e contenente larve di nematodi del genere Trichinella.

La trasmissione dell’infezione all’uomo – specifica il portale del ministero della salute – infatti, avviene nelle aree del mondo dove vengono consumati alimenti a base di carni crude o poco cotte e loro derivati (ad esempio salsicce fresche) provenienti da animali suscettibili non sottoposti ai controlli veterinari.

Le larve infettanti di circa 1 mm di lunghezza, dopo essere state ingerite si liberano dai tessuti dell’ospite nello stomaco, passano all’intestino tenue dove penetrano attivamente nell’epitelio intestinale e si sviluppano fino allo stadio di adulto.

Una volta raggiunta la maturità sessuale (al 4° giorno dopo l’infezione) e dopo la successiva fecondazione, la femmina produce larve “newborn” (neonate) che migrano attraverso il sistema linfatico prima e sanguineo dopo, alle cellule dei muscoli striati, dove penetrano attivamente e inducono la cellula a modificarsi in cellula nutrice, differente sia nella struttura che nelle funzioni. Le larve all’interno delle cellule nutrici possono sopravvivere per anni sia nell’uomo che negli animali, restando in attesa di essere ingerite da un nuovo ospite.

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La gravità dell’infezione è dovuta principalmente alla dose di larve infettanti ingerite e può variare da forme benigne a forme gravi che, in seguito a complicazioni cardiocircolatorie, respiratorie e/o neurologiche, possono portare al decesso del paziente. Generalmente la malattia ha un carattere epidemico in quanto più soggetti consumano le carni infette. I casi singoli sono rari.

Nelle prime fasi del decorso clinico la malattia può essere scambiata per influenza poiché la trichinellosi non presenta segni o sintomi patognomonici e la maggior parte delle infezioni vengono acquisite nel periodo invernale che coincide con l’attività venatoria, con la macellazione dei suini provenienti da allevamenti a carattere familiare e quindi non controllati e con le epidemie di influenza.

Nei paesi dell’Unione Europea la prevalenza dell’infezione nell’uomo si è fortemente ridotta nell’ultimo decennio grazie ad un incremento dei controlli veterinari e all’educazione dei cacciatori e consumatori. In Italia nell’ultimo decennio le carni e loro derivati di cinghiali provenienti dall’attività venatoria e non sottoposti al controllo veterinario hanno rappresentato la principale fonte di infezione.

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