Per una vita Alessandro Moreschini ha usato le parole in poesia per sviscerare il suo amore smisurato per Castel Madama, facendosi apprezzare nell’ambiente degli ultimi e dei letterati. Le sue poesie evocano ricordi, scavano nei cuori, riaprono alberi geneaologici. E’ venuto a mancare ieri all’età di 85 anni. Lascia una miriade di opere. Tutte uniche, profonde, capaci di strappare sorrisi e riflessioni, di dipingere vita, sentimenti, tenacia dei castellani di una volta. E che lui, con qualche pennellata, faceva e fa sentire vicini.
Trapiantato a Tivoli da anni, Moreschini a Castel Madama aveva lasciato cuore e radici.
Nelle sue opere usava il sonetto, la rima baciata, la ballata, lo strambotto satirico, giochi di rime.
Declinava il castellano in ogni sfumatura. Un dialetto non dimenticato non solo grazie ai suoi scritti ma anche alle lezioni che per anni ha riservato ai bambini a scuola insegnando loro le parole e i giochi dei nonni che non ci sono più. Ma anche conte, indovinelli, cantilene, filastrocche, stornelli e scongiuri.
‘Antichi giochi e giocattoli, conti e cante’ di Castel Madama, ai giochi antichi anni fa aveva dedicato un libretto. Nell’introduzione il suo testamento. .
Le parole di Moreschini
“Tra i tanti luoghi nei quali sono vissuto o che ho visitato, ricordo con sviscerato amore la città dei miei studi, Assisi. Mi sento legato volentieri a Tivoli, dove vivo da tantissimi anni e dove sono stato anche assessore comunale. Sono affezionato a Roma sia come città d’arte, ma anche come sede del mio lavoro per 35 anni. Ho nostalgia di rivisitare le tante bellezze artistiche di Firenze, di Venezia e d’altre città e località ricche di naturali visioni di questa nostra “bella Italia…”, città e luoghi visitati e vissuti intensamente, soprattutto durante le ferie estive. Ma il luogo più caro, e prolifico di sentimenti e di memorie, è il paese dove sono nato, Castel Madama.
È qui che spesso indirizzo i miei pensieri, è qui che rileggo il mio passato, è qui che trascorro, quando posso, le ore del tempo libero.
L’infanzia
Qui ritrovo la primitiva visione del mondo, del mio vivere, i primi passi, la mia immagine di scolaretto con il grembiule blu ed il colletto bianco, il maestro, il banco di scuola scalcinato, traballante, sporco, consumato, graffiato, inchiostrato…
Qui ritrovo la mia adolescenza, i primi morsi della fame, i primi pianti, le cadute, le “scazzottate”, i giochi, i miei giocattoli fatti di niente, le rincorse; qui rivedo le albe e i tramonti, i miei olivi, le piante, il venticello, l’acque sorgive, l’estate delle cicale.
Qui ritrovo il profumo del grano, del fieno, delle mele, delle pere, dei fichi, l’autunno delle uve, del mosto nelle cantine, dell’olio nei frantoi a dicembre.
Qui ritrovo la fragranza del pane appena cotto al forno, il richiamo mattiniero del fornaio, della lattaia la sera; il verso dell’asino all’abbeveratoio, del bue nei campi, dei cani randagi nei vicoli; il miagolio dei gatti, il coccodè delle galline, il chìcchirichì dei galli a beccare spesso fuori dal pollaio, nei cortili, persino sulle strade, nelle piazze, indisturbati.
Rammento le feste religiose con i riti di S. Michele Arcangelo Patrono, sia a maggio sia a settembre, con la fiera del bestiame, di S. Sebastiano con ju calemme (l’albero della cuccagna), di S. Antonio con la corza de i cavaji, della Madonna co j-atali , di San Sidoro co ju sulicu a le fratti…e poi il Natale, il Carnevale, la Pasqua delle taccatàvore, delle gnàcchere e delle suggestive processioni…
Ricordo le donne anziane avvolte nelle antiche vesti (varneji e scialle) il loro recitare il rosario nei portoni dei palazzi, lo schiamazzo di noi adolescenti nei cortili, lungo le strade e gli spiazzi…le corse estive al fiume e lungo i fossi a fare il bagno… le nostre sere d’estate nei vicoli poco illuminati o fuori l’abitato a catturare lucciole e nelle giornate fredde, entro i portoni a giocare a i quattru cantuni, a mazzarocca, a zompacavaju, a ju schiaffu, a ju cucuzzaru o a anello anello mio bell’anello…a zirumatiju e persino a rappresentare la morte con la cócózza e la cannela”.
Il ricordo e la promessa
Commosso il saluto del sindaco Michele Nonni e dell’amministrazione comunale. E quello rivolto da un amico, il maestro Giuseppe Salinetti.
“Alessandro Moreschini – scrive Salinetti – l’ho sentito al telefono l’ultima volta un mese fa. Mi aveva ringraziato ripetutamente per averlo chiamato. Non usciva più, la malattia s’era rivelata più grave di quanto pensasse. Era affaticato ma lucido, conscio ma sereno a cosa andava incontro. Rivolto come sempre ai suoi progetti editoriali. Mi disse che era pronto un nuovo libro: ”Abbecedario”, rivolto ai più giovani affinché conoscessero gli elementi fondamentali della storia di Castel Madama.
Non ha mai smesso di ricercare, elaborare e trasmettere la cultura e la lingua castellana, fino alla fine..
Alessandro lascia un enorme patrimonio di documenti e di opere che non devono assolutamente andare disperse. Le sue poesie, soprattutto degli ultimi dieci anni, ci parlano di oggi, un presente inquieto e un futuro incerto. Negli ultimi 70-80 anni abbiamo seguito una strada che ora sappiamo sbagliata, che non sta dando benessere, bensì malessere. Dobbiamo correggere la direzione, e per farlo ci saranno utilissime le sue poesie, il suo sguardo su sé e il mondo
Ti abbraccio Sandro e ti prometto che per quanto potrò mi adopererò affinché tu, i tuoi scritti e i tuoi progetti non siano dimenticati“.
Qui la presentazione di una delle tante opere di Alessandro Moreschini.