Emergenza sta per apparenza

Oltre quel che emerge le misure contro il Covid dovrebbero guardare ciò che resta nel fondo

Tutti sanno che il Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 2021 ha varato il decreto che proroga al 31 marzo 2022 lo stato di emergenza. È, questa, una misura che fa felici coloro che si erano accomodati al lavoro casalingo chiamato smart working. Sono dipendenti pubblici e privati che possono lavorare da remoto.

( Sono saltati così gli accordi sindacali o individuali con l’azienda. Domani, giornata di sciopero generale, Landini dovrà mettere in conto anche questa come lamentela nei confronti del governo. Ma non lo farà perché con lo stato d’emergenza prorogato c’è anche la proroga dei congedi parentali per i lavoratori dipendenti genitori di figlio convivente minore di 14 anni in situazioni specifiche riguardanti l’emergenza Covid. Confermato per tutte le zone, indipendentemente dai colori, il green pass e il green pass rafforzato. A dispetto dei rumors prodotti dai bene informati, non c’è la misura sull’obbligo delle mascherine da indossare in tutti i luoghi aperti. L’obbligo c’è solo a cominciare dalla zona gialla ).

Una nota di tipo costituzionalistica, va riservata al fatto che non è stato utilizzato lo strumento del Dpcm, come aveva fatto Giuseppe Conte e come, quasi per solidarietà nei confronti del predecessore, aveva inizialmente utilizzato anche Mario Draghi.

La motivazione è semplice. Lo strumento del Dpcm per misure che riguardano eccezionalmente la libera conduzione delle persone è incostituzionale. (Nessuno aveva osato porre questa obiezione tranne in queste solitarie righe. I fatti di oggi ci mostrano che non era infondata).

L’altra nota è di tipo semantico. Il nostro paese non è la prima volta che affronta uno stato di emergenza e ogni volta una contro-informazione oppone sulla cifra di questa emergenza e sull’opportunità di chiamarla tale, ma soprattutto sulla ragione di ridimensionare la libertà di gestire sé stessi, come persone o come collettività, nello spazio del territorio. Il primo grande esempio fu la fase del terrorismo. Il secondo fu quando ebbe la proclamazione per la prima volta a causa della pandemia.

Il tema di ciò che emerge però pare sempre mettere sullo sfondo ciò che invece rimane sommerso. Un primo tema riguarda il rigore costituzionale, come è stato detto. Il secondo riguarda il rapporto diretto tra queste misure e la capacità di fare prevenzione nei casi di contagio in aumento. Il lockdown non servì a fermare la crescita della pandemia, anzi continuò, non ebbe il picco, come sostenevano i cosiddetti esperti, bensì il plafond, cioè un appiattimento dei casi in una media quasi costante e lentamente declinante. L’arrivo del caldo con la bella stagione estiva fu determinante nel 2020 nella discesa dei casi. Ciò non impedì a settembre di veder crescere la curva dei contagi. Di nuovo misure, che non parevano interagire però con l’andamento generale. Fin quando arrivarono i vaccini ad inizio 2021. Lì il contributo fu qualcosa di innegabile. Pensavamo dopo l’estate di procedere verso il declino inevitabile del contagio e invece arriva un’altra variante, un’altra impennata di casi anche senza variante.

Tutto questo ci insegna che le nostre misure in termini di piccole, medie o grandi ristrettezze nella nostra individuale libertà non hanno grande incidenza per combattere il contagio. Bisogna invece insistere sulle misure farmacologiche a cominciare dai vaccini, ma sperando ne arrivino dei nuovi perché quelli che finora abbiamo schermano al fine di non consentire che la malattia degeneri. Insistere sulla messa in opera dei sistemi farmacologici, tanto più quelli sperimentati dalla Merck Sharp & Dohme, così come quelli della Pfizer. Un farmaco in pastiglie sarebbe la vera rivoluzione contro questo male. E sarebbe un gran bene fosse messo in circolazione al più presto…

In questo modo i vaccini perderebbero appeal? Forse, ma questa è un’altra storia.

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