Il governo Draghi compie cento giorni ma non è detto che i suoi giorni siano quelli del calendario
Sono eccezionali le ragioni per cui questa legislatura non è arrivata prematuramente alla fine. Con Giuseppe Conte abbiamo avuto il governo più a destra, sempre con Conte il governo più a sinistra e con Draghi il governo più tecnico. Temperato dai politici di destra e sinistra per equilibrare il progetto di riforme che si deve accompagnare alla gestione di fondi del Recovery di matrice europea.
Le ragioni per cui si dura sono tutte all’interno dello stato pandemico. Ma superata l’emergenza il governo continuerà a sussistere per gestire le risorse speciali. In questi cento giorni il bilancio soddisfacente di un piano di investimenti, prima inconsistente, e degli effetti della vaccinazione accreditano un sicuro sette più al Super Mario nazionale. Ma il suo debole consiste proprio nella carenza di riformismo.
Una maggioranza composita che si ostina a sedere nello stesso governo solo per partecipare alla gestione, anche se si è in disaccordo totale sui temi fondamentali. Tasse ai benestanti di Letta da una parte, la flat tax dall’altra. Politica per l’immigrazione da una parte, chiusura delle frontiere dall’altra. Sulla riforma del Codice degli Appalti si è sfiorato il conflitto. E anche di azioni contro la pandemia, l’austerità da una parte, il “liberi tutti” dall’altra. Si potrebbe continuare.
Si tratta di un orizzonte di riforme assai pallido quello che si prospetta per questo governo. Solo che per gestire tanti soldi le condizioni chieste e accettate sono che si facciano le riforme. In testa a tutti quella della giustizia per arrivare in tempi più brevi alla fine dei procedimenti amministrativi.
E allora la sensazione è che approvato il Recovery e accarezzando l’idea di essere prossimi alla fine delle chiusure forzare, il grosso del lavoro sia tutto da fare.
Buon lavoro e buona fortuna!
