Fine emergenza ma tenere il blocco di licenziamenti

Sono arrivate note in cui contestavano una contraddizione tra la richiesta di chiudere la fase di restrizioni e la contemporanea richiesta di difendere il posto di lavoro nelle imprese. Una risposta.

In questa stessa pagina chi scrive ha sostenuto la tesi del costituzionalista Sabino Cassese, per cui era opportuno chiudere la fase dell’emergenza, ma ha anche evidenziato la richiesta del sindacato di tenere il blocco dei licenziamenti. Quest’ultima richiesta – secondo alcuni lettori – sarebbe in contraddizione con la prima perché si giustificherebbe col ritenere, questa fase, ancora emergenziale.

In effetti non è così. Giusto ribadirlo per i manzoniani “20 lettori”.

La difesa del blocco dei licenziamenti, come è stato scritto abbastanza chiaramente, si giustifica con la ripresa della centralità della questione del lavoro – problema che il nostro dibattito politico ha da almeno trent’anni derubricato dal suo dibattito, senza per questo aver mai fatto una svolta thacheriana nella sua Storia. Le liberalizzazioni non ci sono state e le poche sono state appannaggio del capitalismo familista, cioè dei soliti pochi. Però non è riuscita mai a centrare il problema del lavoro, se non, quando si trattava di esuberi eclatanti, impostare la questione in termini assolutamente assistenziali. L’Italia è fanalino di coda in termini di libera impresa ma altrettanto ultima nei termini di difesa del lavoro, ma anche di tematizzazione della questione se non in termini astratti. Ed è per questo motivo che si sosteneva quel blocco, ben sapendo che questa misura non può durare in eterno. In ogni caso, espellere un lavoratore in periodo estivo sarebbe una beffa indicibile, tanto più in una fase in cui la grande industria – come abbiamo scritto – mostra una grande ripresa e una proiezione eccellente per fine anno.

(Diversamente dalla piccola e piccolissima impresa che sta invecchiando e ha sempre maggiori problemi ad adeguarsi alle nuove difficoltà. Ed è in questa tipologia di impresa che si rivolge il lavoratore espulso dal grande circuito produttivo).

Cosa farebbe un lavoratore licenziato in questi mesi? Perché dover creare per forza altri problemi sociali confidando sullo Stato che intervenga in termini assistenziali? Perché, per una volta, i termini della crisi non possono essere condivisi da tutti? Deve sostenere la mano pubblica la probabile estromissione di diversi lavoratori? E’ in questo modo che intendiamo agire con le risorse speciali che arrivano dall’Unione Europea?

La questione della centralità del lavoro è così ben diversa dal problema delle libertà elementari soppresse dall’emergenza dovuta alla pandemia che oggi si esprime in termini assai ridotti. Intendiamoci, nessuno canta vittoria. Laddove ci dovesse essere una ripresa ci vuole poco a riprendere misure limitative. Ma ora consiste in un sacrificio inutile, tanto che, non a caso, molte misure sono state sospese.

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