TIVOLI – L’ultimo addio a don Fabrizio, la sclerosi lo ha ridotto come un Cristo crocifisso

I funerali del sacerdote stroncato a 57 anni sono stati celebrati dal Vescovo Mauro Parmeggiani: una toccante omelia

Sono stati celebrati ieri mattina, sabato 11 maggio, nella Cattedrale di San Lorenzo, a Tivoli, i funerali di don Fabrizio Teglia, il sacerdote deceduto giovedì 9 maggio all’età di 57 anni presso la clinica “Italian Hospital Group” di Guidonia dopo due anni di dolorosa malattia (CLICCA E LEGGI L’ARTICOLO DI TIBURNO).

Don Fabrizio Teglia, originario di Guidonia, si è spento all’età di 57 anni a causa della sclerosi laterale amiotrofica

La funzione religiosa è stata presieduta dal Vescovo della Diocesi di Tivoli e Palestrina, Monsignor Mauro Parmeggiani, e dal Clero diocesano.

“Termina qui il Calvario che ha condotto il nostro caro Don Fabrizio Teglia all’incontro con il Risorto”, ha detto Monsignor Parmeggiani durante l’omelia, raccontando che da più di due anni il sacerdote soffriva di sclerosi laterale amiotrofica.

“Una malattia che non dà scampo – ha proseguito il Vescovo – e che ha ridotto Don Fabrizio come un Cristo crocifisso, un corpo vivo inchiodato su un letto di ospedale, lucido ma immobile e che via via è andato sempre più bloccandosi fino a soffocare l’anima bella che il corpo custodiva.

Sì, perché Don Fabrizio era un’anima bella. Un’anima di quelle che un Vescovo – permettetemi questa confidenza – ringrazia Dio per averla incontrata. Un’anima bella che si è rivelata soprattutto in questi lunghi anni di malattia affrontata e sopportata con tanta fede.

Nato a Tivoli il 24 novembre 1966, Don Fabrizio era cresciuto a Guidonia Centro, amava la musica, conseguì il diploma di pianoforte e fu insegnante di educazione musicale.

Poi attratto dalla bellezza vera, la bellezza di Dio, l’8 settembre 1993 entrò nell’Istituto Religioso dei Servi del Cuore Immacolato di Maria a San Vittorino.

Studiò filosofia e teologia e il 10 giugno 2000 fu ordinato presbitero a Roma, nella Parrocchia della Sacra Famiglia a Villa Troili, da Sua Eccellenza Monsignor Luigi De Magistris, già Reggente della Penitenzieria Apostolica.

Un momento dei funerali di don Fabrizio Teglia celebrati ieri nel Duomo di Tivoli dal Vescovo Mauro Parmeggiani

“Don Fabrizio – ha ricordato Monsignor Parmeggiani – sia per educazione familiare che per formazione religiosa era estremamente serio, quasi austero, pieno di pudore, affidabile, sincero.

Fu proprio questa sua rettitudine interiore che lo spinsero nel 2008, dopo poche settimane dal mio ingresso in Diocesi, a chiedermi di essere accolto nel presbiterio tiburtino. Cosa che non mi sono mai pentito di aver fatto in accordo con i suoi Superiori.

È stato un ottimo Cappellano all’Ospedale di Tivoli, poi dal primo settembre 2012, accettò una eredità assai pesante: subentrare quale Parroco dei Santi Giorgio e Martino a Monsignor Antonio Persili.

Quindi, nel 2014, gli domandai di accettare un’altra missione non facile ossia quella di lasciare Tivoli per andare a guidare le parrocchie di San Gregorio da Sassola e Casape.

Con non poca sofferenza obbedì prontamente dando, ancora una volta, dimostrazione di essere un vero prete.

Presente agli Esercizi spirituali annuali del Clero, agli incontri di formazione, ovunque portò con sé il suo carattere austero, timido, ma nello stesso tempo buono e autenticamente timorato di Dio.

Davanti a incomprensioni e critiche, quelle che nella vita dei preti come di tutti, non mancano mai; davanti alle incomprensioni e alle critiche che a volte gli giungevano alle spalle anche da chi avrebbe dovuto essergli più vicino, non si ribellò mai.

Mi confidava le sue amarezze ma sapeva guardare in alto. Si stava allenando per quello che sarebbe stato l’ultimo tratto della sua vita terrena”.

Nel marzo del 2022, don Fabrizio Teglia fu costretto a lasciare le Parrocchie per motivi di salute.

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Il Vescovo ha raccontato di averlo sentito parlare con qualche difficoltà e di aver pensavo a qualche malattia di carattere neurologico.

Invece gli fu diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica.

Così il sacerdote fu prima accolto presso le Suore di Gerano e poi presso la clinica “Italian Hospital Group” dove ha vissuto spegnendosi lentamente questi due lunghi anni di malattia.

“Pieno di pudore – ha proseguito il Vescovo nell’omelia di ieri – si è dovuto affidare anche per i servizi più intimi e personali ad altri, se all’inizio desiderava stare in una camera singola, ha dovuto accettare di stare con altri ammalati in un lento e sofferto spegnersi fino a giovedì mattina.

È stato contornato dall’affetto di alcuni sacerdoti che vorrei ringraziare.

Tra loro, in particolare, Monsignor Domenico Cauteruccio, Don Ernesto Rapone, Don Marco Savaresi che lo ha visitato pressoché ogni giorno ed è stato vicino ai fratelli Alessandro e Francesco.

È stato contornato dall’affetto dei suoi fratelli ed anche di alcuni suoi ex parrocchiani, i più semplici, che lo hanno visitato costantemente.

Ultimamente era difficile visitarlo: Don Fabrizio non parlava più ed era difficile capire i suoi movimenti.

Per me non sono state facili – ve lo confesso – le ultime visite: parlare e non sentire risposta se non l’apertura flebile degli occhi quando si pregava e al momento della benedizione.

Non è stato facile vedere il suo progressivo decadimento.

Tuttavia sapevo che dentro il suo corpo immobile continuava a vivere quel Don Fabrizio che all’inizio della sua malattia mi promise di pregare e offrire quanto sapeva che gli sarebbe accaduto per le vocazioni, per la nostra Chiesa, per il Papa e anche per me, suo povero Vescovo, che sapeva di poter contare e ancora conta su quanto quest’anima bella ha saputo fare”.

“Come Vangelo ho desiderato che in questa Messa si leggesse il brano della morte in croce di Gesù – ha detto ancora Monsignor Parmeggiani – Dove Gesù sulla croce grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Una domanda che sicuramente si sarà posta, nei lunghi giorni di ospedale che ha voluto vivere senza televisore e senza distrazioni di sorta, anche Don Fabrizio. Una domanda che ci siamo posti noi per lui.

Noi che vorremmo avere risposte per tutto.

Una domanda alla quale nel silenzio di chi aspetta la salvezza del Signore, Don Fabrizio avrà sicuramente trovato risposta nella fede nel Risorto.

È bello aver ascoltato dopo la narrazione della morte in croce del giusto Gesù, l’annuncio del giovane seduto sulla pietra rotolata del sepolcro vuoto alle donne accorse il mattino di Pasqua per completare i riti della sepoltura: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”.

Sì, don Fabrizio, ha confidato fortemente nel Risorto e per questo lui: timido, riservato, pudico … ha accettato la sofferenza e la morte con fede lasciandoci così la testimonianza di un vero cristiano, di un vero prete, di un santo prete!

Un prete e un cristiano che avendo conosciuto il Signore, sapendo della Sua bontà verso chi spera in lui, con colui che lo cerca, ha atteso in silenzio: esteriore – perché impostogli dalla malattia – ed interiore la salvezza del Signore”.

“Ora, mentre lo salutiamo riuniti intorno all’altare, lo affidiamo per l’ultima volta al Salvatore, a Colui dal quale – come abbiamo ascoltato nella seconda lettura – nessun potere del mondo, nemmeno la morte, potrà mai separarci.

Lo affidiamo al Risorto che proprio in questi giorni celebriamo asceso al Cielo, tornato nel mondo di Dio dove un giorno tutti saremo e preghiamo perché Don Fabrizio sia ora in Cielo, ossia nel mondo di Dio, con la sua anima e un giorno con il corpo trasformato dalla luce della risurrezione. Lo affidiamo al Risorto e asceso al Cielo che indica a tutti la via sulla quale dobbiamo camminare in questa vita puntando là, al Paradiso, dove non ci sarà più la morte, né pianto, né lamento ma soltanto gioia, la gioia dell’abbraccio eterno del Padre ricco di misericordia e perdono.

Cari amici, qualcuno però, a questo punto potrebbe farmi una domanda: ma caro Vescovo, se Don Fabrizio era così buono e bravo, perché il Signore ce lo ha tolto a soli 57 anni di età?

La sua Chiesa, la nostra Chiesa di Tivoli e di Palestrina ha così bisogno di presbiteri, perché allora tutto questo?

E perché tanta sofferenza?

Da parte mia sarebbe disonesto eludere la domanda.

Penso innanzitutto che davanti ai misteriosi disegni di Dio occorra chinare il capo, affermare con fede che Dio è Padre e Padre rimane anche quando noi fatichiamo a comprendere.

Ma poi tornerei al Vangelo: anche Gesù per portarci salvezza si è fatto uomo ed ha voluto morire come gli uomini, accettando una morte infamante, insultato, tradito addirittura dagli amici

Una morte davanti alla quale anche Lui ha dubitato: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Ma in quella morte già iniziava la sua opera di salvezza, già il centurione davanti a Lui che moriva in croce affermò: “Davvero quest’uomo era figlio di Dio!”, un’opera di salvezza compiuta con la sua resurrezione: vera speranza, certa speranza per ogni credente!”.

“Nella luce della resurrezione – ha concluso il Vescovo Mauro Parmeggiani – noi ora preghiamo perché in questa luce vi sia anche il nostro Don Fabrizio.

Se qualche volta ha dubitato della fedeltà del Signore, che Lui, anche attraverso le nostre preghiere di suffragio, lo perdoni, gli spalanchi le porte del Paradiso e gli dica: “Vieni, servo buono e fedele, ricevi il premio della vita eterna preparato per te fin dalla fondazione del mondo”.

La Madonna, che Don Fabrizio ha tanto amato, lo presenti al suo Figlio Gesù.

E tu, caro Don Fabrizio, ricordati di noi: del tuo Vescovo, del tuo presbiterio, dei fedeli che hai incontrato in 24 anni di ministero, dei tuoi fratelli, dei seminaristi della nostra Diocesi e ottieni, se puoi, per questa Tua Chiesa, il dono di nuove e sante vocazioni presbiterali.

Amen”.

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