Il tuo ultimo progetto il TotrArt Duo è, appunto, un duo di trombettisti formato da te e da Sandro Travarelli con parecchie incursioni nel cinema e nella musica elettronica. Ci spieghi meglio?
“In realtà facciamo tre tipi di spettacolo diversi, quello che stiamo portando in scena in questo ultimo periodo ci vede suonare diverse colonne sonore di film che vengono proiettati alle nostre spalle. Abbiamo cercato, anche, di creare un’atmosfera da sit-com perché, infatti, tra un pezzo ed un altro vengono proiettate sullo schermo alcune scenette di noi due che siamo indecisi sul film da visionare. Con questo spettacolo saremo in scena il 26 e 27 settembre ed il 3 dicembre al Teatro Trastevere di Roma.
Sempre con il TotrArt duo riproponiamo anche opere liriche con l’ausilio del computer. Siamo riusciti a portare la nostra musica anche in un locale di Berlino che si chiama SO 36″.
Quando hai capito che la musica e la tromba sarebbero stati la tua vita ed il tuo mestiere?
“Da bambino, intorno agli 8 anni, suonavo nella banda di Monterotondo, dove ho avuto la fortuna di conoscere il maestro Bruno Gonizzi che, purtroppo, ora non c’è più. Gonizzi era un eccellente maestro di conservatorio e devo a lui la mia formazione iniziale. Ho studiato con lui nella sede dell’Associazione Musicale Eretina ed a 18 anni mi sono diplomato da privatista al Conservatorio.
Subito dopo sono riuscito ad accedere al corso di “Alta Formazione in Orchestra Sinfonica” della durata di tre anni, tenuto dal maestro americano Steven Burns. Le selezioni ed il corso si svolsero a Bologna, ci presentammo in 100 ma fummo ammessi soltanto in 7. Dopo questa formazione c’è stato il salto di qualità nella mia carriera”.
Un salto di qualità che ti ha portato a lavorare con i più grandi maestri d’orchestra a livello internazionale. Solo per citare alcuni nomi hai collaborato con Ennio Morricone, Riccardo Muti e Lorin Maazel. Che emozione si prova a salire sul palco con questi mostri sacri e come ti sei rapportato con loro?
“Credo che l’emozione non te la dia la grandezza del maestro con cui lavori, ma ci sono altre cose che ti toccano. Per esempio quando stai suonando qualcosa per una persona speciale all’interno del pubblico.
Ho lavorato nel 2006 con Ennio Morricone che aveva la fama di essere molto duro, invece, ho trovato una persona simpatica. Durante le prove faceva spesso battute in dialetto romano.
Lorin Maazel, invece, è una maestro di carattere; ricordo che una volta fece una richiesta di un passaggio musicale ad una flautista e sorprese lei che commentava questa cosa con un altro collega. Il maestro si arrabbiò molto e rimproverò la flautista rea, a suo dire, di una mancanza di rispetto. Quella musicista non mise più piede nell’orchestra di Maazel”.
Nel 2004 inizi ad approfondire lo studio del jazz. Collabori a nuovi progetti in cui scrivi tu la musica. Qual è la differenza tra il suonare musica propria e scritta da altri?
“Credo che dipenda dal quanto ti piace la musica. Io sono molto autocritico e,quindi, potrebbe non piacermi anche qualcosa che ho scritto io.Quando suoni tante volte la tua musica è come se si spersonalizzasse. L’importante credo che sia trasmettere delle emozioni al pubblico, rimanendo padrone dello strumento”.
Nella tua carriera ti è capitato spesso di insegnare musica agli altri. Che tipo ti empatia si crea tra l’insegnante e l’alunno?
“La prima volta che ho insegnato avevo appena 15 anni e mi rapportavo con ragazzini che erano quasi miei coetanei. Ero, ancora, nella banda di Monterotondo ed insegnavo solfeggio.E’ stata un’esperienza molto formativa.
Dal 2007 al 2011 sono stato professore di musica e tromba al liceo scientifico “Azzarita”, dove seguivo quattro classi. Io sono poco schematico ed in quell’occasione ho effettuato programmi diversificati in base alle classi. Cercavo, in sostanza, di capire cosa potesse piacere ai miei alunni, in modo da farli avvicinare alla musica. Pur di coinvolgere il “bulletto” della classe, ho dovuto ascoltare Gigi D’Alessio che è totalmente diverso dal mio modo di fare musica. Adesso svolgo lezioni private dove, spesso, vado a casa dei miei allievi. Con molti di loro si è creato un vero e proprio rapporto di amicizia”.
Hai lavorato, anche, in teatro con gli attori Massimo Wertmuller ed Anna Ferruzzo. Come ti sei confrontato con artisti che non sono musicisti?
“Con Massimo Wertmuller ho lavorato all’opera teatrale “I dolori del giovane Wertmuller” con la regia di Gianni Clementi ed a “V come Vian”, omaggio al grande compositore e trombettista Boris Vian scomparso nel 1959, con la regia di Anna Ferruzzo. Massimo Wertmuller ed Anna Ferruzzo sono due bellissime persone con cui si è instaurato un rapporto di reciproca stima ed amicizia. Il problema era che il metodo di lavoro del teatro era molto diverso da quello a cui era abituato nei concerti. In un concerto, infatti, che sia di musica classica o jazz, sai già dalle prove quello che devi suonare. In teatro non è così, la sceneggiatura delle opere era un vero e proprio work in progress e veniva cambiata spesso durante le prove. Di conseguenze, anche, la musica subiva notevoli mutamenti. Capitava di provare un brano per diversi giorni e, poi, se non andava bene, di accontonarlo e suonarne un altro. Questo è stato destabilizzante per me che era abituato ad un certo metodo di lavoro”.
Cosa ti senti di consigliare ad un bambino che inizia a suonare la tromba o, più in generale, si avvicina al mondo della musica?
“Consiglierei all’alunno di non avere pregiudizi e di non seguire necessariamente un insegnamento accademico, mentre all’insegnante di tenere conto di ciò che piace al bambino. Bisogna stimolare l’alunno con dei percorsi specifici adatti a quella persona. Un buon insegnante di musica, insomma, deve essere anche un po’ psicologo”.
Vincenzo Perrone