“Se da bambina i miei genitori non mi avessero assecondato nella mia passione per il calcio, sono sicura che avrei vissuto una vita a metà”.
Sono parole che vengono dal cuore di una bomber di razza, cresciuta tirando calci al pallone sin dalla tenera età. Orgoglio tiburtino, Claudia Palombi da sei anni veste la maglia della Res Roma con cui nelle ultime tre stagioni ha vinto tre scudetti Primavera indossando il numero 10 e la fascia da capitano.
Quest’anno, per limite d’età, la sua avventura giallorossa prosegue unicamente con la prima squadra dove quest’anno mister Melillo la fa giocare come trequartista, un ruolo che le è sempre andato a genio. Sguardo pungente e temperamento tosto, Claudia si muove nell’area piccola con la grinta di una leonessa affamata di goal (ne ha messi a segno quasi cento durante la sua esperienza nella Res Roma sia in prima squadra che in Primavera). Ha solo vent’anni, che per l’esattezza compirà il prossimo 18 dicembre, ma a sentirla parlare di spirito di squadra, tattica e dinamiche di spogliatoio, sembra una veterana di questo mondo così bramato, chiacchierato, invidiato.
Del resto il calcio è da sempre pane quotidiano in casa Palombi. Suo padre, Gianni, ha passato la sua gioventù giocando a pallone e suo fratello Simone quest’anno ha esordito in serie A rientrando alla corte di Inzaghi, dopo aver fatto tutta la trafila delle giovanili fino alla Primavera con il tecnico laziale ed essersi messo in bella mostra in B, lo scorso anno, con la Ternana.
L’unica nota un po’ stonata (all’inizio anche dolente) è vedere una Palombi giallorossa in una casa dove regna la fede biancoceleste: “All’inizio sotto la maglia ufficiale indossavo una t-shirt bianca per non sentirmi i colori giallorossi sulla pelle – ci confida – ma poi crescendo ho capito che la fede è un’altra cosa e niente e nessuno potrà mai scalfirla”. Tra ricordi del passato, obiettivi futuri e l’emozione da tifosa di suo fratello Simone, ecco cosa ci ha raccontato l’attaccante tiburtina sull’onda di quella passione magica e travolgente chiamata calcio.
Ricordando gli inizi : “Mia madre non era entusiasta della mia scelta, oggi è la mia prima tifosa”
Claudia ha messo gli scarpini ai piedi la prima volta all’età di sette anni: è passata dall’Atletico Tivoli alla Tibur 1999, poi al vivaio della Lodigiani, dov’è rimasta tre stagioni prima di arrivare, alla Res Roma quando aveva tredici anni.
“Al contrario di mio padre, che mi ha sempre incoraggiato, mia madre all’inizio aveva delle remore per il fatto che ero una femminuccia, temeva che il calcio con il tempo mi avesse potuto rendere troppo mascolina. Ha provato a distogliermi facendomi provare tutti gli sport del mondo fino a quando il mio allenatore di pallavolo la chiamò e le disse “signora, le consiglio di iscrivere sua figlia a scuola calcio perché non riesce a staccare i piedi dal pallone!”.
Da quel giorno mamma Cristina accantonò ogni dubbio e cominciò a sostenere sua figlia nella sua scelta, rendendosi conto che per lei il pallino del rettangolo verde non era una passione passeggera ma “immensa e incontenibile”, come sottolinea Claudia, che continua a rendere orgogliosi i suoi genitori non solo sul campo.
Lo scorso anno, quando portava a casa il terzo scudetto di fila con la Res Roma Primavera, si è diplomata all’istituto alberghiero. Oggi, oltre a seguire i corsi di lingua straniera per perfezionarsi come receptionist, riesce a coniugare i quattro allenamenti settimanali , più la partita, con il suo impegno al ristorante di famiglia, la Trattoria del Ragno.
“E’ dura riuscire a fare bene tutto – dice- ma sarei disposta anche a saltare qualche ora di allenamento o di sonno pur di aiutare i miei al ristorante, perché lo meritano e anche perché mi piace”.
Non a caso la bomber dai riccioli d’oro, che diventa super femminile quando scioglie i capelli e indossa
le sue amate scarpe col tacco, sogna di aprire insieme ai suoi genitori un ristorante all’estero: “chissà, magari sull’isola di Fuerteventura!” dice guardando al futuro. E il calcio? “Se fosse per me non smetterei mai, giocherei fino a 40 anni come la Panico!”.
Questione di emozioni: “Tifare Lazio con mio fratello Simone in squadra è tutta un’altra storia”
Quando da ragazzina andò per la prima volta all’Olimpico insieme a suo padre e a suo fratello per tifare i loro beniamini biancocelesti, nella rosa di mister Mancini c’era anche Simone Inzaghi. Era la stagione 2003-2004 e la Lazio avrebbe vinto la sua quarta coppa Italia. A distanza di tredici anni si realizza il sogno. La prima partita di campionato, con Inzaghi in panchina per il secondo anno consecutivo, coincide con l’esordio in serie A di quel giovane talentuoso che risponde al nome di Simone Palombi.
“Sono arrivata in tribuna d’onore con i miei genitori due ore prima, con il cuore che mi batteva a tremila – racconta. Da quando ero piccola me ne muoio per mio fratello. Simone merita questo traguardo, magari il primo anno sarà di formazione insieme al grande Ciro Immobile e compagni, ma comunque sono certa che troverà il suo spazio”, afferma Claudia che stravede per Mister Inzaghi.
“Sta dimostrando di essere il dodicesimo uomo in campo. E’ abilissimo tatticamente, così bravo da reinventare anche giocatori in ombra come lo scorso anno era Luis Alberto, oltre a saper trasmettere il suo profondo sentimento di lazialità ai giocatori”.
“Cosa mi ha insegnato il calcio? Ad allenare la forza interiore, l’intelligenza e la scaltrezza”
“Il calcio è uno sport di testa, prima ancora che di piede. Allena la reattività, l’intelligenza nel fare
la scelta giusta al momento giusto, nel gestire dinamiche complesse come quelle che governano un gruppo e che ritrovi nella vita di tutti i giorni”.
Claudia descrive così la sua esperienza di crescita personale intorno alla sfera di cuoio.
Ecco perché, nonostante il calcio femminile (purtroppo) non riceva in Italia la stessa considerazione di quello maschile, si sente di spronare le piccole calciatrici a “inseguire con tenacia il loro sogno”, mentre ai genitori che hanno qualche remora su questo sport per le loro femminucce fa un appello : “Che sia una bimba a voler giocare a calcio o un bambino a voler fare danza classica, non ostacolate la passione vera dei vostri figli a vantaggio di sciocchi stereotipi e pregiudizi ”.