Le due acque provengono dallo stesso bacino, ma anche se presentano alcune differenze vengono comunque percepite come aventi caratteristiche analoghe da parte degli utenti i quali possono godere anche di ombrelloni, sdraio e punti di ristoro a prezzi popolari.
Gli stessi comfort offerti dalle Terme di Roma, che però è titolare esclusiva della sub-concessione del Comune per l’utilizzo della risorsa idrica sfruttata senza titoli abilitativi ed autorizzativi da parte dei laghetti del Barco.
Con queste motivazioni il Tribunale Civile di Tivoli ha sancito la vittoria del patron delle Terme Bartolomeo Terranova nella cosidetta “Guerra dell’Acqua” contro le polle sorgive, i 4 stabilimenti abusivi di via Primo Brega. Con la sentenza numero 875 pubblicata mercoledì 8 luglio il Giudice Francesca Coccoli ha condannato le Associazioni culturali “Bambù”, “Eden”, “Parco Tivoli”, “La Siesta” e la Società agricola “H2SO” a risarcire alla “Acque Albule Spa” un danno pari a 720.434 euro, oltre interessi legali sugli importi anno per anno maturati, più 1.493 euro di spese processuali, 27.804 per compensi, senza contare la parcella del Consulente tecnico d’ufficio del Tribunale, il geologo Roberto Salucci, incaricato di esaminare le acque delle polle e quelle dei Laghi Regina e Colonnelle che alimentano le Terme.
Il Giudice Coccoli ha deciso inoltre di mettere fine alla concorrenza sleale ordinando ai gestori delle polle l’immediata cessazione della balneazione e di qualunque altra attività che comporti lo sfruttamento abusivo delle acque affioranti in superficie all’interno degli stabilimenti “Bambù”, “Parco Tivoli”, “Eden” e “Albulè”.
Secondo il verdetto di primo grado, ogni stabilimento dovrà versare alla municipalizzata, per il 60% proprietà del Comune di Tivoli e per il restante 40% della Fincres Spa di Terranova, più di 180 mila euro a fronte di una richiesta iniziale di 5 milioni di euro per aver utilizzato le acque termali ma soprattutto per il mancato guadagno dovuto alla sottrazione di potenziale clientela. Il danno è stato calcolato sulla base del calo di fatturato registrato nei bilanci e in particolare del calo medio delle presenze tra il 2006 e il 2011, da 86.804 a 39.657, circa l’11% all’anno, con una riduzione complessiva del 54,31%. L’ammontare dei danni è stato stimato anche verificando la voce “ricavi piscine”, passati da un milione 251.418 del 2007 agli 895.012 del 2011, un calo quantificabile appunto in complessivi euro 720.434 euro.
LE MOTIVAZIONI – “E’ balneazione anche con l’acqua alta un metro”
Termina così il primo step della battaglia giudiziaria iniziata otto anni fa dalla Acque Albule Spa. La società amministrata da Bartolomeo Terranova incolpava le polle sorgive di aver non solo leso il diritto di esclusiva sull’acqua termale, ma addirittura di aver contribuito all’abbassamento del livello della falda idrica, di aver depauperato la risorsa e aver compromesso l’equilibrio idrogeologico del territorio e in particolare del Lago Regina e del Lago Colonnelle, le fonti che alimentano le Terme di Roma.
Il giudice, sulla base della consulenza di Roberto Salucci, ha escluso sia la responsabilità delle polle nel disastro geologico che le proprietà terapeutiche delle acque affioranti. Acque che, pur provenendo tutte dalla medesima falda profonda di tipo “regionale” – l’acquifero dei monti Lucretili -, presentano alcune differenziazioni nella composizione. Tuttavia Francesca Coccoli ha riconosciuto innanzitutto che tutte le aree gestite dalle associazioni ricadono all’interno del perimetro della concessione Acque Albule.
Inoltre nei 4 stabilimenti viene esercitata un’attività che può qualificarsi ragionevolmente e tecnicamente come “bagno in piscina” indipendentemente dal fatto che le vasche siano profonde appena un metro. A parere del giudice, è irrilevante se ai laghetti venga svolta attività natatoria, attività che neppure la società Acque Albule offre agli utenti.
A strutture come le Terme e le polle la clientela richiede la possibilità di immersione nelle acque per trarne benefici dalle proprietà terapeutiche e refrigerio. Una concorrenza non autorizzata con inevitabili ripercussioni negative sull’attività esercitata in regime di concessione anche sotto il profilo del prestigio e dell’immagine di esclusiva, nell’ambito della collettività, non solo locale.