Ventinove anni

Come ad ogni anniversario della strage di Capaci si riaprono le ferite della nostra coscienza infelice

Di nuovo si dirà che quelle morti erano scongiurabili. Ancora si aggiorneranno le ipotesi di connivenze con la mafia. (Ultima tra queste lo scoop delle Iene, per cui in quegli anni grazie a meccanismo sarebbe stato possibile annullare i comandi per innescare l’ esplosivo. Ma la polizia e Falcone non erano informati di questa possibilità tecnologica). Un’ altra volta verrà ricordato il clima di diffidenza di una parte della classe politica e della stessa magistratura che accusava Falcone di carrierismo. Come ogni anno, si spenderanno parole di encomio per chi si è sacrificato nella battaglia strenua contro la mafia che prende corpo con personaggi consegnati nelle patrie galere.

Il lutto per Falcone fa il paio con quello per l’altro giudice Borsellino che la mafia ha mandato a morte un mese dopo.

E come sempre farà impressione il senso di sacrificio dei due magistrati che sapevano della loro fine incombente eppure non cedettero di un passo in questa grande lotta per affermare lo Stato sui resti di cultura tribale ancora presente nella logica di morte della mafia.

Non serve dire brechtianamente “triste il mondo che ha bisogno di eroi”. La constatazione più tragica riposa sulla necessità di questo sacrificio e Falcone con Borsellino quasi sicuramente ne erano consapevoli.

Questi sacrifici nella lotta contro la mafia possono essere associati a quello di Aldo Moro, appena celebrato l’ 8 maggio. Anche per il presidente della Dc con la morte è arrivata la laica beatificazione e con il loro esempio la vittoria contro il nemico dello Stato, il nemico di tutti. Le Brigate Rosse e la mafia si allineano come deriva dell’ anti-Stato, le cui ideologie farneticanti fanno leva sulle disfunzioni del nostro vivere.

Ma Giovanni Falcone, ventinove anni dopo, deve insegnarci che lo Stato non è un monolite. Accettarne le contraddizioni, lavorare per affermare la propria legittima visione, deve essere la vera strada percorribile. Affermare questo però implica anche una svolta nell’essere-Stato. I suoi percorsi debbono essere trasparenti, le gerarchie che si affermano debbono giustificarsi per chiari meriti, il ricambio della classe dirigente un dato visibile, i collegamenti tra poteri giudiziario, legislativo ed esecutivi debbono essere alla luce del Sole. È per questo Stato laico e progressista che Falcone si è sacrificato nella sua guerra giusta contro la mafia.

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