IL “fasciocomunista” ci ha lasciato

Antonio Pennacchi è morto la sera del 3 agosto a Latina

 

Aveva 71 anni e da tempo mancava ai dibattiti pubblici e alle novità editoriali. Lui che una novità nel nostro panorama elettorale afflitto dal politicamente corretto aveva giocato grandemente nel ruolo del personaggio scomodo. Personaggio. Ancor più e meglio di scrittore. Nel 2010 ha vinto il Premio Strega col suo romanzo Canale Mussolini. Militante dell’MSI da giovane nel corso della vita aveva virato nelle file del Partito marxista-leninista Italiano. Un trasgressivo, contento di esserlo. Una persona che non aveva paura delle sue confusioni anche se si esprimevano con lapidaria certezza. Negli anni Settanta è stato anche militante socialista. Nei primi anni Ottanta, mettendo a profitto il tempo libero dalla cassa integrazione, si è laureato in Lettere emendando la prima gioventù di ragazzaccio di quell’inizio di Italia del Sud. La sua carriera letteraria è iniziata nel ‘95 con Mammut. Subito dopo ha pubblicato Palude. Ma è nel 2003 che si guadagna il nomignolo che gli rimarrà sempre cucito addosso: “fasciocomunista”, come il suo romanzo che tratta delle avventure metropolitane di un’esistenza fortemente incompresa. Dal romanzo sortirà un film di successo. Mio fratello è figlio unico, diretto da Daniele Luchetti. E dopo Canale Mussolini (2010), Storia di Karel (2013), Camerata Neandertal. Libri, fantasmi e funerali vari (2014), Canale Mussolini. Parte seconda (2015), Il delitto di Agora (2018), rivisitazione del thriller Una nuvola rossa pubblicato nel 1998, e La strada del mare (2020). Mancherà alla vivacità del nostro dibattito compassato da schematismi

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