No, non stiamo parlando di un professorone a stelle e strisce, poiché lui si chiama Giuseppe Romano ed è una mente brillante proveniente da Monterotondo.
Nato a Napoli il 13 aprile del 1982, si trasferisce dalla capitale partenopea a Mentana, per stabilirsi definitivamente a Monterotondo Scalo nel 1989. E proprio sul territorio Eretino si forma, acquisendo quell’istruzione fertile su cui germoglieranno i propri interessi. Dopo le scuole elementari a Monte Pollino e le medie alla Federici, Romano sceglie di frequentare l’indirizzo Elettronica e Telecomunicazioni dell’istituto Cardano. All’istituto di Piazza della Resistenza, Romano si avvicina al mondo delle telecomunicazioni e delle modulazioni numeriche. In parole povere, studia le basi delle moderne tecniche di trasmissione da un dispositivo all’altro.
Questa passione lo spinge nel campo di studi di Ingegneria delle Telecomunicazioni a Tor Vergata, dove si avvicina alla fisica applicata, campo di ricerca in cui è specializzato tutt’oggi. Laureatosi nel 2004, conseguita nel 2006 la specialistica in Ingegneria delle Telecomunicazioni e nel 2010 il dottorato di ingegneria microelettronica a Tor Vergata, per Romano iniziano anche le prime trasferte di studio, prima negli Stati Uniti al Georgia Institute Of Technology e poi al Kyoto Institute Of Technology in Giappone.
La sua figura professionale sempre più poliedrica, tesa tra l’ingegnere e il fisico, gli apre infine le porte verso il prestigioso Mit, dove approda prima nel 2010 come Visiting Scientist e poi come Postdoctoral Scholar al dipartimento di scienza dei materiali.
Oggi vive, impegnato tra Nasa e Mit, tra Pasadena, in California, e Cambridge, Massachusetts, dove ricopre rispettivamente i ruoli Research Scientist al MIT e Faculty Intern at Jet Propulsion Lab alla NASA. Nonostante la lontananza non ha dimenticato le sue radici e si sente molto legato alla famiglia, in particolare alla mamma, che: “rappresenta per me un modello di resilienza e onestà.”
Nel tempo libero, quando non è impegnato nelle sue ricerche, ama dilettarsi al pianoforte e nella pratica di balli latino-americani. Un modo per ricaricarsi, perché il suo impegno e auspicio per il futuro è grande: “Desidero una maggiore diffusione delle energie rinnovabili, in modo da mitigare l’emissione di Co2 e salvaguardare la salute del nostro pianeta.” -ci racconta per via telematica, colmando le nove ore che si separano di un giorno, aggiungendo- “Auspico, inoltre, una vibrante competizione nel settore privato per il turismo e l’esplorazione spaziale.”
“La passione per la programmazione è nata all’età di circa 8 anni, quando con mio padre programmavo in GW-Basic. Inoltre, iniziai a sviluppare un interesse verso la fisica. Da adolescente ho scelto il tecnico industriale e ho approfondito la programmazione. Durante il corso di telecomunicazioni mi sono interessato alle modulazioni numeriche, ovvero le tecniche usate per trasmettere informazione da un dispositivo all’altro. Questo mi ha spinto a fare ingegneria delle telecomunicazioni. Tuttavia, al corso di optoelettronica, ebbi la possibilità di studiare fisica applicata, e quello fu l’inizio della mia attività di ricerca. Da allora, scelsi un dottorato sulle nanotecnologie che successivamente mi ha portato al dipartimento di scienza dei materiali al MIT. Poiché mi occupo di simulazioni, ovvero di programmi al computer che simulano la fisica, alla fine ho combinato la fisica con la programmazione, coniugando in qualche modo le passioni giovanili.”
Lei studia i materiali in grado di convertire il calore in elettricità. Quali potrebbero essere le applicazioni pratiche delle sue ricerche? E come le innovazioni in questo campo possono cambiare la vita quotidiana?
“Questi materiali, chiamati materiali termoelettrici, hanno un forte vantaggio rispetto ad altre tecnologie: non hanno parti mobili al proprio interno. Come conseguenza, non hanno bisogno di un’attenta manutenzione e quindi hanno una durata notevole. Le applicazioni dei materiali termoelettrici sono molteplici, tra cui troviamo dispositivi indossabili -ad esempio uno smartwatch o un dispositivo medico- alimentati direttamente dal calore del nostro corpo e alimentazione di sonde spaziali, ovvero il mio campo di interesse. I materiali termoelettrici funzionano anche al contrario, ovvero raffreddano l’ambiente circostante se attaccati ad una batteria. Questa modalità è attualmente usata per mantenere i vaccini a una temperatura bassa durante il loro trasporto, in modo da preservarne l’efficacia.”
E al MIT lei ha sviluppato un suo codice che ha suscitato l’interesse della NASA. In cosa consiste?
“Un materiale termoelettrico, per essere efficiente, deve essere in grado di bloccare il trasporto di calore. Studi sperimentali hanno mostrato che materiali nanoporosi, ovvero con dei pori dell’ordine di pochi miliardesimo di metro, sono in grado di bloccare anche il 90% del calore che sarebbe passato se non ci fossero stati i pori. Il mio codice permette di simulare il trasporto di calore alle scale nanometriche, dove la fisica classica si mescola con la meccanica quantistica. Grazie all’accuratezza del codice è quindi possibile identificare tramite il computer le configurazioni più promettenti, per esempio la grandezza e la disposizione dei pori, da sottoporre poi agli sperimentali.”
Come la fa sentire pensare che, anche grazie al suo contributo, nuove sonde o satelliti potranno essere efficienti nello spazio?
“Ogni innovazione è tipicamente frutto di tanti ricercatori che nel tempo si sono tramandati le informazioni mediante le pubblicazioni scientifiche. Per quanto mi riguarda, i materiali che sto studiando, se ritenuti promettenti, andranno nello spazio intorno al 2040. Quindi, intanto, cerco di arrivarci.”
Qual è la parte o l’aspetto che più la affascina del suo lavoro?
“Il mio lavoro mi permette di simulare, mediante software, le leggi fisiche. Ed è sempre affascinante vedere come una serie di equazioni risolte al computer riescano veramente a descrivere con alta accuratezza il mondo che ci circonda.”
E come definisce la sua figura professionale? Lei di base è un ingegnere ma, per certi versi, si occupa di aspetti che sfociano nella fisica.
“Il mio percorso un po’ variegato, se da un lato mi ha privato di un senso di appartenenza culturale ben preciso, dall’altro mi ha permesso di specializzarmi sulla scienza computazionale, la quale si sviluppa sul confine tra programmazione, quindi una parte integrale di ingegneria, e fisica.”
Cosa pensa delle opportunità che il nostro paese offre ai nostri giovani scienziati?
“La scuola italiana è tra le più rigorose al mondo. Purtroppo, alcune realtà, soffrendo la mancanza di fondi adeguati, non permettono ad un giovane ricercatore di coniugare il rigore acquisito tra i banchi accademici con l’applicazione al mondo reale. Negli scorsi anni, comunque, si è vista una forte internazionalizzazione, attuata mediante programmi di scambio. Sicuramente questo è un mezzo efficace per far affacciare gli aspiranti ricercatori italiani a un mondo globale, ma anche agli scienziati di altri paese di entrare in contatto con il mondo accademico italiano.”
C’è chi guarda con scetticismo alle stelle, dicendo che l’uomo dovrebbe risolvere i problemi sulla terra e poi aprirsi all’universo. Secondo lei, le scoperte scientifiche, possono contribuire al nostro sviluppo sulla Terra?
“L’esplorazione spaziale ha fatto spesso da precursore di applicazioni sulla terra e proprio i materiali termoelettrici ne sono un esempio. Infatti, le ricerche svolte per migliorare l’efficienza di questi materiali alcuni decenni fa per la sonda Cassini, sono attualmente utilizzate per lo sviluppo di dispositivi indossabili. Comunque, al di là dei risvolti pratici sulla Terra, le missioni spaziali hanno anche un risvolto filosofico. Infatti, alcune sonde hanno lo scopo di fotografare gli angoli più nascosti del cosmo, come la sonda Planck, raccogliendo dati che contribuiscono a studiare l’origine dell’universo.”
Che consigli si sentirebbe di dare a chi, uscito dal liceo, sogna una carriera da scienziato?
“Finite le superiori, consiglio di fare la triennale in Italia con corsi in inglese. Dopo la laurea, sarebbe auspicabile un dottorato all’estero o uno in Italia con un supervisor che abbia forti legami in altri paesi. In ogni caso, un periodo all’estero e’ sempre una esperienza positiva, sia scientificamente che di vita.”
di Eugenio Nuzzo