Il falso addio ad Angela

In Italia i leader forti e longevi politicamente piacciono solo quando sono alla guida di altri paesi

Tutto il male e tutto il bene che si è detto sui nostri giornali relativamente alla cancelliera tedesca

 

Uscirebbe un libro veramente esilarante se fossero messi a confronto i commenti su Angela Merkel quando era in piena attività e in questi giorni in cui ha concluso la sua guida della Germania durata ben sedici anni. Premierato che per assicurarsi l’ha vista abile interprete di maggioranze ben diverse. Come se da noi, solo per fare un esempio, il Pierferdinando Casini dell’Udc avesse per quattro anni governato con Forza Italia e per gli altri quattro anni col Pds-Pd. Volerebbero intemerate contumelie contro il trasformismo teso tutto alla salvaguardia della propria posizione di dominio. Con la Merkel tutto questo invece assume il carattere di ammirazione per la capacità di saper interpretare una nuova fase rimanendone protagonista.

Sul piano della direzione politica Angela Merkel non ha fatto altro che seguire il suo compitino, essendo stata allieva di tanto maestro: Helmut Kohl. Seguendo la sua linea è riuscita a traghettare il difficile passaggio della Germania Est nell’ambito dell’Occidente riuscendo a renderlo indolore. Ma il primo lavoro più arduo fu assicurato dal suo mentore.

Come leader europea Angela Merkel è stata un gendarme del rigore estremo del bilancio. Proprio quella nota che a noi appariva più indigesta. Ha fatto fallire la Grecia e posto delle condizioni capestro all’Italia che l’ha odiata esprimendolo a chiare lettere nei suoi giornali legati al centrodestra.

Quando il suo ruolo è diventato troppo centrale per vestire i panni del gendarme nei confronti di un paese come l’Italia ha inventato la formula dei paesi frugali. A fare il lavoro sporco di opporsi alle misure che cercavano puntualmente di aggirare l’ostacolo della linea del rigore si si metteva l’Olanda.

Tutti ricordano i suoi sorrisetti con Sarkozy quando il giornalista chiede se avrebbe previsto un comportamento altrettanto rigoroso da parte dell’Italia nel trattare la grande crisi finanziaria.

Quando il mondo ha conosciuto la crisi della pandemia, è stata la sua Germania a mostrare scetticismo verso i numeri di contagio e morti evidenziati dall’Italia. Si riteneva che fosse la solita mossa furba del nostro paese per piangere miseri e muovere a compassione l’Unione Europa. Nel momento in cui, a conti fatti, morti e ammalti si sono attestati anche in Germania la musica è cambiata. E allora è stata l’Unione europea da lei eterodiretta a dare la piena disponibilità ad elargire denari per programmi di resilienza dalla crisi. Ma a gestirli non doveva essere il presidente del Consiglio in carica. L’unico italiano di cui i tedeschi si fidano si chiama Mario Draghi. E Mario Draghi sta guidando oggi questa transizione.

Guardare con stima la performance di una dominatrice che troppo spesso ci ha legato alle nostre responsabilità consiste in una rimozione generale per una coscienza storica per il nostro paese. O forse è anche un atto di superiorità latina: la stima per chi ce l’ha fatta per tanto tempo a mantenere posizioni di dominio. La donna laureata in fisica ha dimostrato di saper far bene di conto. Si tratta di vedere ora dove andrà a contare.

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