Trentadue detenuti suicidi in carcere da gennaio ad aprile, numeri record che impongono una riflessione sul sistema penitenziario italiano.
Se ne è parlato nel convegno “Carcere e Psichiatria”, organizzato venerdì scorso 19 aprile a Roma dalla Fondazione Willy Brandt, dal 2000 riconosciuta come Ente Morale dal Ministero dell’interno.
Tra i relatori Rita Bernardini, Presidentessa di “Nessuno Tocchi Caino-Spes contra Spem”, Alessandro Gerardi, avvocato penalista militante per i diritti umani, la nota magistrata Simonetta Matone, deputata della Lega e membro della Commissione Giustizia, la giornalista e conduttrice televisiva Paola Severini Melograni, l’avvocato penalista Gian Maria Nicotera, la professoressa Patrizia Patrizi, docente ordinaria di Psicologia Giuridica presso l’Univerdsità degli Studi di Sassari, l’autrice e attrice Rita Pasqualoni, lo psichiatra e criminologo Antonio Vento, oltre ai rappresentanti della Polizia Penitenziaria.
Durante l’incontro è emerso il numero crescente di detenuti affetti da disturbi mentali con diagnosi gravi, senza cure appropriate e abbandonati al loro destino.
Un quadro aggravato dall’assenza di un piano clinico per la cura di patologie psichiatriche e di un numero irrisorio di psicologi che costringe il personale penitenziario ad affrontare problemi che non gli competono e in condizioni già insostenibili per il sovraffollamento e la carenza di organico.
Come se ne esce?
Il quotidiano on line della Città del Nordest Tiburno.Tv ne ha parlato con Gian Maria Nicotera, 30 anni, figlio del più noto Avvocato Pietro Nicotera, ex sindaco di Marcellina, anche lui penalista dal gennaio del 2022, socio della Camera Penale di Roma, fondatore dell’Associazione di Volontariato “Manalive Organizzazione No Profit” attiva in campo dei diritti umani.
Avvocato Gian Maria Nicotera, trenta suicidi nelle carceri italiane nei primi 4 mesi del 2024: possiamo parlare di emergenza?
Assolutamente sì. Ci troviamo dinnanzi ad un dato impressionante. Più precisamente 32 suicidi in carcere, uno ogni 60 ore. Con questo andamento si rischia di superare il dato del 2022 che ha visto 84 suicidi ed è stato l’anno record.
I 30 suicidi erano tutti affetti certificati da disturbi psicologici/psichiatrici?
Purtroppo non possiamo dirlo, perché la problematica principale risiede nel fatto che non vi è un accertamento psichiatrico al momento dell’ingresso in carcere del detenuto. Ed in particolare vi è una scarsa presenza di professionisti ed operatori socio sanitari in grado di fornire valutazione e trattamenti specialistici. Sicuramente molti dei 32 detenuti suicidi soffrivano di disturbi mentali e non avevano le cure di cui avevano effettivamente bisogno, il carcere non è il luogo ideale per la cura dei disturbi mentali, questo è certo.
Rei folli e folli rei: che differenza c’è tra le due tipologie di detenuti in carcere?
La famosa distinzione fra Folli – Rei e Rei – Folli, ossia fra i detenuti con un disagio psichico dichiarati incapaci di intendere e di volere e i detenuti con un disagio psichico capaci però di intendere e volere. La differenza risiede dunque nell’imputabilità. I primi sarebbero i malati di mente che commettono un reato in preda alla loro follia e vengono per questo riconosciuti incapaci di intendere e di volere e prosciolti; i secondi sarebbero le persone che, sane di mente al momento del reato, sviluppano in carcere patologie psichiatriche.
Sia i rei folli che i folli rei hanno bisogno di assistenza: come viene assicurata in carcere?
Certamente, entrambi hanno bisogno di assistenza.
Per i Rei folli vi sono due principali soluzioni. Una è fuori dal carcere, qualora la patologia psichica li renda “incompatibili” con l’ambiente carcerario. E questa una strada percorribile da quando nel 2019 è intervenuta la Corte Costituzionale con la famosa sentenza n. 99/2019 che ha sancito un nuovo punto d’incontro tra giustizia e psichiatria.
L’altra soluzione, purtroppo la più frequente, è che la patologia viene trattata all’interno della struttura penitenziaria. Per chi ha bisogno di assistenza, nel nostro ordinamento esiste il D.P.R. 230/2000, nello specifico negli articoli 111 e 112: questi prevedono le Articolazioni per la tutela della salute mentale (le cosiddette Atsm), ovvero sezioni speciali per chi è affetto da disturbi psichici e patologie.
Uno dei problemi maggiori risiede nel fatto che tali sezioni non sono presenti in tutte le carceri, ma soprattutto che la legge prevede una permanenza limitata in questi luoghi dedicati all’interno delle strutture carcerarie, di norma non superiore ai trenta giorni.
Di conseguenza non si tratta di un percorso strutturato e di un progetto intorno alla vita della persona detenuta ma solo di una misura che si limita al contenimento, spesso attraverso l’utilizzo di quella che viene definita “cella liscia”, anche se è formalmente vietata dall’ordinamento penitenziario.
Per i Folli-rei invece è prevista la misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura oppure nelle cosiddette REMS, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Una delle questioni più dibattute intorno alla questione Rems riguarda le “liste d’attesa”, cioè di quelle persone che seppur destinatarie di un ordine di ricovero in Rems non vi possono accedere, per mancanza di posti disponibili.
Oltre al numero così esiguo di R.E.M.S. c’è il problema che tali strutture per legge possono ospitare solo in base al criterio della territorialità, con la conseguenza che una persona residente in una regione non potrebbe occupare un posto divenuto libero in altra regione nemmeno se la sua anzianità in lista di attesa fosse maggiore rispetto ad un’altra.
Ed a complicare ulteriormente il sistema di accesso alle R.E.M.S. è il fatto che la legge dà precedenza ai c.d. definitivi, poi, in seconda battuta, ai cosiddetti sopravvenuti (per i quali l’infermità di mente è sopravvenuta in corso di esecuzione della pena) ed infine, ai c.d. provvisori (coloro i quali sono stati dichiarati non imputabili ancora in attesa di giudizio).
Non vi è dunque una priorità ai casi più urgenti, e tutti coloro che non trovano posto in una R.E.M.S. subiscono una vera e propria detenzione illegale in strutture carcerarie.
Soluzioni?
A mio avviso è necessario intervenire subito data la drammaticità della situazione. Bisogna promuovere una maggiore collaborazione e integrazione tra i settori della giustizia e della salute mentale.
Ciò implica non solo una migliore formazione per il personale penitenziario riguardo alla gestione dei detenuti con disturbi mentali, ma anche di incrementare la presenza di professionisti all’interno delle carceri in grado di fornire valutazioni e trattamenti specialistici, ma fin dalla visita di primo ingresso in carcere che non si deve fermare ad una valutazione generale sulle condizioni di salute del detenuto ma dovrebbe fin da subito approfondire le eventuali problematiche sia fisiche che psichiche del detenuto espletando o quantomeno suggerendo di espletare all’ autorità giudiziaria procedente una perizia psichiatrica ove ricorrono i presupposti.
Una cosa ormai è certa, il carcere ormai rappresenta un problema e non più una soluzione come auspicato dalla nostra Costituzione e non si può più morire di carcere, abbiamo visto detenuti togliersi la vita a pochi giorni o mesi dal fine pena, è necessario intervenire subito a partire dai programmi di reinserimento sociale, che inizino a dare speranza e non angoscia a chi si trova ristretto dietro quattro mura, e che il carcere sia effettivamente e una volta per tutte l’extrema ratio.