famiglia con baby

Il lavoro avanza (un po’) ma non quello femminile: e allora?

Il lato f della nostra società arranca sempre, nelle professioni, nella politica, nella società. Ne abbiamo parlato con l’economista tiburtina Azzurra Rinaldi

Il lavoro avanza (un po’) ma è soprattutto maschile e le femmine, già in situazione vulnerabile in pre-Covid, sono sempre più tagliate fuori. Perché e cosa fare? L’economista tiburtina Azzurra Rinaldi, docente di Economia Politica dell’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, ci parla degli ultimi dati sull’occupazione forniti dall’Istat, relativi a ottobre 2021 sul mese precedente: “Aumentano i posti di lavoro di 35mila unità ma sono tutti uomini, cioè la variazione delle donne è zero. Questo è un dato che ci fa male ma non ci stupisce. Inoltre, secondo l’Inapp che ha rielaborato i dati dell’Osservatorio Inps sul precariato, relativi ai primi sei mesi del 2021, ci sono circa 3 milioni e 300mila nuovi posti di lavoro, di cui oltre 2 milioni gli uomini, quasi 1 milione e 300mila le donne”.

Il part-time riguarda quasi il 50% delle donne

Ma il tema è anche un altro, sostiene l’economista: “Le donne vengono assunte soprattutto in part-time, perché questo ricalca l’impostazione tradizionale, patriarcale, in particolare quando diventano madri, e il ruolo principale è quello di stare a casa e occuparsi dei figli. Il che è una cosa ridicola, considerando che siamo nel 2022. Ma l’Inapp ci dice anche altro. Di queste persone che sono state assunte, è in part-time il 49,6% delle donne e solo il 26,6% degli uomini”. Soprattutto non si tratta di part-time volontari, ma involontari e Rinaldi ricorda un’analisi dell’Ocse del 2019 proprio sulla forza lavoro femminile in part time involontario. La media europea è del 6%. La Germania è al 4%, la Francia è al 9%, la Spagna all’11, l’Italia è al 18%.

2019, prima della pandemia… “Esatto”, commenta, “Il Covid lo vediamo come il fattore che ha scatenato questa disparità, ma non è vero. Perché queste sono disuguaglianze che sono strutturali per l’Italia, quindi bisogna innanzitutto modificare l’approccio culturale delle donne al loro ruolo e al loro posto sul mercato del lavoro. Allo stesso tempo bisogna intervenire culturalmente anche sul ruolo degli uomini. Avere donne in posizioni di comando è importante perché non solo rappresentano metà della popolazione, ma anche perché nelle bambine e nei bambini deve essere normale il concetto che anch’esse possono comandare, e bene, il che adesso non succede, evidentemente”.

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Se le donne non producono ricchezza è più povero il paese

Cosa perde la società che non tiene conto delle potenzialità femminili? “Continuiamo a perdere punti di prodotto interno lordo perché tutte queste donne che se ne vanno via dal mercato del lavoro o che invece di lavorare tutto il giorno lo fanno soltanto in part-time, oppure che vorrebbero cercare un lavoro ma non possono perché magari sono relegate in attività di cura, non solo sono più povere loro perché non guadagnano reddito, ma sono più povere le loro famiglie ed è più povero il paese, perché non si produce ricchezza e quindi non si produce Pil. Sembra banale: ma è proprio così, semplicissimo”.

Il congedo di paternità obbligatoria sarebbe una svolta anche culturale

Che cosa si può fare? “Moltissimo ma io darei la priorità in questo momento, se fossi alle istituzioni, a una legge che intervenga sul mercato del lavoro ma anche su agevolazioni e accelerazioni di un processo di transizione culturale”. Ovvero? “Penso a un intervento normativo per un congedo di paternità obbligatorio uguale a quello di maternità obbligatorio. Noi adesso siamo nella situazione in cui per ogni bambino o bambina il padre sta fuori obbligatoriamente dal lavoro 10 giorni, la madre per ogni gravidanza sta fuori obbligatoriamente 5 mesi. Il tema qui non è ridurre il congedo della madre ma renderlo equo a quello di paternità. In pratica non delegare a un solo genitore, la madre, la cura dei figli, ma coinvolgere allo stesso modo anche il padre, con il quale si possano creare con i figli legami solidi, più stretti, più sereni”.

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Rimettere al centro il merito

 Quali sarebbero gli effetti positivi di una legge del genere? “Prima di tutto potrebbe azzerare la disuguaglianza sul mercato del lavoro perché è chiaro che se per legge viene fissata questa disparità e io sono un’azienda, più facilmente assumo gli uomini piuttosto che non le donne. Inoltre, consentirebbe alle donne di entrare e permanere sul mercato del lavoro, quindi rimettendo al centro il merito. E questo aiuterebbe anche il paese a essere più competitivo, più produttivo, più innovativo. Poi si darebbe ai figli la possibilità di avere lo stesso tempo da passare con mamma e papà”.

È giunto il momento di una donna alla presidenza della Repubblica? “Questo è un grosso tema ma riguarda “chi” andrebbe al Quirinale, non una donna “qualsiasi”, ma una che abbia una visione aperta, progressista, anche femminista, e che creda nel superamento delle disuguaglianze. Viceversa sarebbe solo una “faccia” messa lì, magari con i capelli lunghi ma che in realtà consolida lo stesso modello di oppressione attuale”. Di cui non vogliamo più “doverci” abituare.

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