Utero e intestino perforati Il raschiamento post aborto spontaneo finisce in dramma

Un vero e proprio dramma per la ragazza, tuttora ricoverata nel reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale “San Giovanni Evangelista” di Tivoli. Valentina, un lavoro da barista a Roma ed ex batterista della band Sufi Garage, ha telefonato in redazione per rendere pubblico il suo caso e annunciare che a occhio e croce avrà un seguito nelle aule di giustizia, soprattutto nel momento in cui avrà avuto la certezza che la perforazione della parete uterina e intestinale i medici avrebbero potuto risparmiargliela.
Stando al suo racconto, tutto è iniziato mercoledì 16 quando, alla sesta settimana di gestazione, Valentina aveva accusato delle perdite. Per questo il compagno Giuseppe Solano, 35 anni, anche lui musicista, l’aveva accompagnata al pronto soccorso di via Parrozzani. L’embrione c’era ancora, la camera gestazionale pure: tuttavia la donna era stata rimandata a casa con una cura da fare. Purtroppo le speranze di avere un figlio insieme a Giuseppe sono tramontate sabato 19, quando i sanitari del pronto soccorso con una ecografia avevano accertato l’aborto spontaneo mettendola in lista per il raschiamento e fissando l’intervento a lunedì 21 gennaio.
Fatto sta che Valentina a mezzogiorno era stata portata in sala operatoria e dopo l’anestesia generale sottoposta al raschiamento. Evidentemente, però, qualcosa nelle manovre per la rimozione dei frammenti di endometrio deve essere andato storto se al risveglio già sul corridoio la 31enne aveva avvertito i primi dolori.
Dolori lancinanti che si sono intensificati col passare dei minuti, una volta riaccompagnata nella stanza del reparto di Ginecologia e Ostetricia e man mano che l’effetto dell’anestesia generale svaniva. Era lei che esagerava? Oppure soffriva veramente? Valentina racconta che per togliersi il dubbio i medici l’hanno sottoposta a ben tre ecografie fra le tre del pomeriggio, le sette di sera e le undici di notte, senza contare le due lastre, una in tarda serata e l’altra alle 10 di martedì mattina.
Soltanto allora i sanitari avrebbero avuto la certezza del danno, riaccompagnandola d’urgenza in sala operatoria per la sutura dell’intestino. Da quel momento in poi, quattro giorni col sondino al naso, alimentata con le flebo, immobile nel letto per via di quel taglio al basso ventre, simile a quelli praticati per il parto cesareo, che le resterà per tutta la vita.

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