L’intervista al presidente Ordine Geologi: “L’alluvione di Tivoli? Senza prevenzione danni prevedibili”

“Danni che – secondo l’esperto – forse non potevano essere evitati, ma che sicuramente potevano essere ridimensionati se si fosse attuata una politica di prevenzione che da anni segnaliamo e denunciamo, e non parlo di mega interventi, ma anche di semplice manutenzione”.

 

Presidente, come Ordine dei Geologi avevate già segnalato la situazione di criticità nella zona bassa di Tivoli?
“Le nostre denunce purtroppo rimangono sempre lettera morta. In un paese normale quando ci sono segnalazioni di zone a rischio dovrebbero almeno fare delle verifiche, dei sopralluoghi, invece qui si fanno solo chiacchiere e si azzera l’efficacia dei nostri avvertimenti. Le aree che si sono allagate a Tivoli sono per lo più le stesse che si erano allagate nel 2008 e per le quali non solo la pubblica amministrazione non aveva fatto nulla, ma neanche i cittadini erano stati stimolati a prendere delle iniziative di autoprotezione. Si è continuato, dunque, a costruire e pianificare con scelte discutibili, che hanno comportato un’antropizzazione in spregio a ogni regola di buonsenso. I rischi erano risaputi ed i fenomeni annunciati. Si sa che il periodo critico va da metà settembre a metà novembre, poteva essere fatto qualcosa”.

 

E secondo lei perché nessuno è intervenuto prima?
“C’è più di un motivo. Innanzitutto quando si parla del corso di fiumi, torrenti e fossi non si sa mai chi deve intervenire, quale ente può prendere l’iniziativa. Tra Comuni, Provincia e autorità varie c’è una sovrapposizione di enti e compiti che complica ogni cosa. La multi gestione alla fine vuol dire nessuna gestione. Magari ognuno pensa che possa e debba intervenire un altro, e quello che si ha è che poi non si attiva nessuno nella prevenzione”.

 

Una soluzione a questo quale potrebbe essere?
“Sarebbe anche semplice risolvere questo ostacolo. Basterebbe creare un ente unico, un apparato certo, che abbia compiti ed anche responsabilità sulla gestione e la cura dei corsi d’acqua. E’ anche un modo per evitare il solito scaricabarile quando si commettono errori e non si riesce a capire di chi siano le colpe”.

 

E gli altri motivi?
“Dirò una cosa scomoda: quando c’è l’emergenza le istituzioni, parlo in generale, sono costrette a trovare risorse economiche per riparare i danni, e si parla sempre di grosse cifre. Si fa tutto in fretta, con una programmazione dettata dai tempi dell’urgenza, e spesso non si capisce nemmeno bene come vengono spesi i soldi. Quando invece si parla di prevenzione girano pochi soldi, si lavora senza fretta e pressione e quindi può esserci un controllo più ferreo”.

 

Secondo lei per quale motivo è così difficile adottare una politica di prevenzione sul territorio?
“Immagino che ai politici locali faccia più piacere ottenere risultati immediati. Se si asfalta una strada o si inaugura un’opera c’è subito un riscontro positivo, invece fare prevenzione lungo i corsi d’acqua significa fare degli interventi che potranno dare benefici a lungo termine e poi magari nemmeno vengono notati. In questo serve un salto culturale anche da parte di chi è chiamato ad amministrare il territorio”.

 

Qual è il rapporto tra i costi di prevenzione e gli interventi dell’emergenza?

“Direi almeno di 1 a 15. Facendo un esempio, se pulire preventivamente un fosso può costare mille euro, fare la stessa operazione in una fase d’emergenza dovuta ad una calamità può costarne 15mila”.

 

Sarebbe stato possibile evitare i danni causati dal maltempo di mercoledì 14 ottobre?
“Quando ci sono eventi atmosferici fuori da ogni previsione non c’è intervento preventivo che tenga. Ma è anche vero che l’entità dei danni si può ridurre, e con costi molto bassi. Se dieci giorni fa avessimo fatto un giro lungo i corsi d’acqua della zona dell’Aniene, dalla Valle fino a Tivoli, avremmo trovato situazioni vergognose con piante, rifiuti e vegetazione che li ostruivano riducendone enormemente la capacità di deflusso dell’acqua. E’ il risultato della mancanza di manutenzione. Gli interventi devono essere fatti quando la natura ancora non si è scatenata, in tempo di pace insomma. I lavori per la messa in sicurezza costano molto meno del dopo emergenza e sono anche relativamente più facili da portare avanti”.

 

Come è cambiato nei decenni il rischio idrogeologico della zona ed a cosa è dovuto?
“Il consumo del territorio incide molto sul rischio idrogeologico. Quando si progettano nuove costruzioni si deve sempre pensare a garantire il regolare flusso delle acque. L’urbanizzazione ha come conseguenza la riduzione della capacità del suolo ad assorbire l’acqua che, non trovando più modo di infiltrarsi nel terreno, finisce nei fossi e nei torrenti. E’ un quantitativo in più che va a riempire la portata dei fiumi e che poi causa le esondazioni. Se per esempio si cementifica un ettaro di terreno, significa che l’acqua che prima veniva smaltita in quella porzione dovrà trovare una nuova via d’uscita. E’ proprio in questa fase che servono progetti per incanalare l’acqua ed adattare, allargandoli, i corsi dei fossi per smaltirne molta di più.
Un’altra considerazione importante è la scomparsa dei piccoli interventi di manutenzione che nel passato facevano contadini e allevatori. Se ottant’anni fa un contadino vedeva una frattura o un rischio frana, lo sanava in maniera efficace. C’era più attenzione al territorio, ora invece c’è più incuria”.

 

Quali possono essere i provvedimenti da adottare?
“Non servono cifre sconvolgenti, basterebbe innanzitutto monitorare il territorio per conoscere le situazioni a maggior rischio e programmare gli interventi con lungimiranza. Una cosa essenziale è garantire il regolare flusso delle acque e quindi verificare che i punti di raccolta siano puliti e liberi, dalle griglie e i tombini del centro città spesso intasati anche dalle foglie che cadono, ai canali nelle zone a valle dove abbiamo visto cosa può succedere. Serve pulire e mantenere pulito argini e fondali, l’acqua deve scorrere liberamente”.

 

Se fosse stato il sindaco di Tivoli come si sarebbe comportato?
“Il periodo critico è da metà settembre a metà novembre, ma gli interventi vanno fatti prima, mi sarei organizzato per fine agosto mandando squadre di operai per la semplice manutenzione dei canali. Si tratta di poche ore di lavoro, ma nessuno lo ha fatto. Lungo l’Aniene e gli altri torrenti, non parlo solo di Tivoli ovviamente, la manutenzione è prossima allo zero”.

 

Pensa che nell’immediato futuro le cose possano cambiare?
“Siamo ancora a un stato embrionale ma devo ammettere, e lo faccio con piacere, che le istituzioni iniziano a ravvedersi: sempre più spesso, infatti, gli enti locali ci rendono preventivamente partecipi nei processi di pianificazione territoriale. Anche dal governo nazionale stanno partendo politiche certamente più mirate e destinate a imporsi sul lungo periodo: un esempio virtuoso, in questo senso, è il recente provvedimento del Governo, che destinerebbe risorse ai comuni per interventi contro l’abusivismo edilizio. Si tratta di un altro aspetto decisivo alla lotta al dissesto idrogeologico. Speriamo non rimanga una goccia nell’oceano dell’inefficienza amministrativa”.

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