Perquisizioni e sequestri di beni anche a Castelnuovo di Porto e in due paesi in provincia di Reggio Calabria, Africo Nuovo e Bovalino.
Droga e armi
Per quattro dei nove indagati destinatari delle misure cautelari, tutti di nazionalità italiana, l’accusa è di far parte, a vario titolo, di un’associazione per delinquere operante nella provincia di Roma, finalizzata allo spaccio di stupefacenti, provenienti dalla Calabria, con l’aggravante della disponibilità delle armi, dell’impiego di minorenni nell’attività di spaccio e di aver agevolato l’attività della “’ndrangheta” con articolazioni operanti in Calabria e nel Lazio per il controllo delle attività illecite sul territorio.
Gli “affari” del boss a Tivoli
A capo dell’associazione, un 34enne, originario di San Luca (Reggio Calabria) collegato alla cosca della ‘ndrangheta Nirta – Romeo – Giorgi è stata inoltre contestata l’intestazione fittizia di beni, per aver preso in gestione alla fine del 2014 un bar nel centro di Tivoli, intestandolo ad una società così come avvenuto per un’autovettura Smart sottratta ad uno degli associati come compensazione dei debiti maturati e non pagati.
Spunta anche un sequestro di persona
Per altri due destinatari della misura cautelare, un italiano ed un albanese, l’accusa invece è quella di sequestro di persona a scopo di estorsione nei confronti di un italiano che è stato rinchiuso in un garage, picchiato e minacciato di morte poiché accusato di essersi fatto sottrarre quattro chili di eroina durante il trasporto in Puglia per la cessione ad un gruppo di criminali albanesi.
A tutti i destinatari delle misure cautelari sono invece contestati i reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Operazione iniziata sullo spaccio di droga tra Tivoli e Guidonia
La lunga ed articolata indagine che ha portato all’esecuzione dei numerosi provvedimenti restrittivi è stata avviata dai Carabinieri della Compagnia di Tivoli indagando sulle “influenze” che alcuni cittadini calabresi, legati alla ‘ndrangheta, esercitavano sul traffico di stupefacenti nel territorio dell’area Tiburtina e della periferia est della Capitale.
Proprio i due cittadini calabresi, nel cuore della Locride, gestivano un ingente traffico di sostanze stupefacenti di cocaina, eroina ed hashish che giungeva dalla Calabria per essere poi immessa nelle piazze di spaccio della periferia est della Capitale.
I pizzini per coordinare le attività criminali
A riscontro del fatto che l’attività illecita venisse condotta per contro della ‘ndrangheta, nel corso delle indagini sono stati recuperati anche dei “pizzini”, manoscritti da un elemento apicale della ‘ndrangheta, attualmente detenuto in carcere, che contenevano delle “istruzioni” su come l’organizzazione dovesse muoversi nella gestione dei traffici illeciti. L’analisi di tali manoscritti ha consentito agli investigatori di proseguire nelle indagini fino a ricostruire l’organigramma dell’associazione gestita dai calabresi, i quali prima importavano lo stupefacente dalla loro terra d’origine e, successivamente, la cedevano a diversi gruppi organizzati dell’area tiburtina per lo spaccio al “dettaglio”, riportando gran parte dei proventi dell’attività illecita in Calabria.
In un garage a Tivoli il deposito delle armi usate per intimidire i debitori
Inoltre nel corso delle indagini è stato trovato all’interno di un garage a Tivoli, appartenente ad uno dei membri dell’organizzazione, il deposito in cui erano custodite le armi a disposizione del sodalizio criminale. Nel corso delle indagini si è infatti proceduto al sequestro di una pistola calibro 6,35 marca Browning ed un fucile calibro 12 a canne mozze entrambi con la matricola abrasa, all’arresto in flagranza di 5 persone ed al sequestro di circa due chili tra hashish, cocaina e marijuana.
Secondo quanto ricostruito le armi sono state in più occasioni utilizzate dagli associati sia per minacciare ed intimorire tutti coloro che avevano dei debiti da saldare per acquisti di stupefacente o che tentavano di opporsi allo strapotere dell’organizzazione.
Minacce “mafiose” contro barista di Guidonia
In particolare, il capo dell’organizzazione era solito utilizzare un comportamento “mafioso” tanto da non esitare a minacciare con la pistola dei rumeni che frequentavano un bar di Guidonia dove lui si recava quotidianamente o far giungere una busta con all’interno un proiettile al proprietario del bar che si era lamentato per il suo comportamento con i clienti.
Giro d’affari di centinaia di migliaia di euro
Il giro d’affari gestito dall’organizzazione era molto elevato, in quanto sono state documentate diverse trattative per lo scambio d’ingenti quantitativi di stupefacente che una volta piazzati sul mercato potevano fruttare centinaia di migliaia di euro.
I proventi delle attività illecite venivano quindi in parte riportati in Calabria ed in parte reimpiegati in attività regolari che venivano spesso intestate fittiziamente a prestanome per eludere i controlli delle forze dell’ordine.