Gigliola Timperi – l’ostetrica che ha fatto nascere undicimila bambini

gigliolaErano i tempi in cui si partoriva in casa, tempi che Gigliola ricorda come fosse ieri, snocciolando date, nomi e segni zodiacali con una lucidità sorprendente per una donna della sua età.

Sposa bambina a soli 15 anni, mamma a 17, separata poco più che ventenne, un secondo matrimonio alla soglia dei 50 anni, in mezzo un percorso di studi col massimo dei voti, una figlia che a suo dire le avrebbe fatto da genitore e una carriera da ostetrica libero professionista degna del miglior libro di storia di un femminismo ante litteram.col neonato

Nata il 25 febbraio 1928 a Quintiliolo nella villa Osti-Giambruni, Gigliola è stata figlia unica di Giuseppe potatore e Domenica casalinga, marito e moglie che a dicembre del 1926 avevano già perso due figlioletti nel giro di un mese per un’epidemia di tifo che sconvolse Tivoli uccidendo tanti bambini. “Papà era terrorizzato dalla morte e mi custodiva come una reliquia”, ricorda Gigliola che dopo il diploma all’Istituto commerciale di via del Collegio distrutto sotto i bombardamenti il 26 marzo 1944, si iscrisse all’Università “La Sapienza” di Roma per frequentare il corso triennale della scuola di Ostetricia e un anno di specializzazione.

“Mi laureai con 50/50, il massimo dei voti – racconta fiera – Erano le 10 di domenica mattina 6 luglio 1952, a mezzogiorno presi il treno per tornare a Tivoli e alle 13 ero a casa coi miei genitori a mangiare il riso”. Una presenza costante quella di papà Giuseppe e mamma Domenica nella vita di Gigliola, che nel frattempo il 20 dicembre 1943 aveva sposato l’ufficiale di Marina Domenico Angrisani, padre della sua unica figlia nata il 23 febbraio 1945, la docente Maria Luisa Angrisani.

“Ci sposò l’allora vescovo di Tivoli Domenico Della Vedova – ricorda l’ostetrica – Mio marito lo conobbi a 14 anni appena diplomata alle scuole commerciali, lui ne aveva venti ed era venuto da Cava dei Tirreni a Guidonia per conoscere la sposa del cugino. Il nostro matrimonio fallì”.

Come nacque la passione per la professione di ostetrica?neonato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1949 andai in ospedale a Tivoli a far visita ad una parente operata di appendicite, in bacheca lessi di un corso per pionieri della Croce Rossa, mi iscrissi, sostenni gli esami e presi 30/30. In quell’occasione conobbi il direttore dell’ospedale Ignazio Missoni, che fu anche sindaco di Tivoli, e mi suggerì di frequentare il corso di Ostetrica, anzi fu proprio lui ad iscrivermi. Ricordo ancora la domanda d’esame sulla prevenzione del cancro dell’utero: risposi che alle donne assistite mettevo tanta paura che il giorno dopo andava a sottoporsi al PapTest, la commissione mi strinse la mano assegnandomi il massimo dei voti.

Quando iniziò la libera professione? A dir la verità vinsi anche 4 concorsi pubblici da ostetrica condotta ed ero pronta a partire per Matera insieme a mia figlia e a lavorare in ospedale. Fu papà a trattenermi, era preoccupato per me, non voleva che mi allontanassi e per lui scelsi di restare a Tivoli esercitando la libera professione. Praticamente iniziai venti giorni dopo la laurea.

Ricorda il primo neonato che ha fatto nascere?

Come dimenticarlo? Enrico Cococcia, era il 9 settembre 1952.

E l’ultimo? Mi sembra fosse Francesco Lattanzi. Per essere più precisa dovrei riguardare i registri, ho esercitato per oltre vent’anni facendone nascere undicimila.

Come definirebbe il parto? Un evento bellissimo, una grande gioia per la mamma e chi la circonda, il momento più bello ed emozionante della vita.

Anche lei si emozionava? Eccome, mi emozionavo tantissimo.

Li ho amati tutti e sono stata ripagata da tutti, quando esco e li incontro mi circondano d’affetto. Fino a tre anni fa mi portavano i neonati, li pesavo e visitavo, il mio non è un lavoro o un mestiere, è un’esplosione di amore, entusiasmo e gioia. Nella mia carriera ho anche consigliato i nomi dei bambini, ci sono state volte in cui i genitori volevano assegnare loro nomi singolari e io cercavo di dissuaderli dicendo che non mi prendevo la responsabilità di scriverli sul registro delle nascite.

Perché girava in Lambretta?

Per sette anni mi spostavo sulle due ruote tra Tivoli e la Valle dell’Aniene, quando si rompeva è capitato che la riportassi a casa caricandola sul carro della spazzatura. Giravo in Lambretta per due scopi, usare i soldi che guadagnavo per far studiare mia figlia e comprare casa, rinunciavo pure al parrucchiere e mi facevo i capelli da sola con la camomilla Shultz. Poi rinunciai alle due ruote e decisi di acquistare una Bianchina il giorno in cui caddi dal motorino: il parabrezza era consumato, il sole mi accecò e finii addosso a un marciapiede. Gigliola che donna è stata? Amo definirmi una femminista ante litteram.

E che ostetrica è stata?

Per me le gestanti sono state tutte uguali, dalla grande dama all’operaia

Come considera Gigliola mamma?

Mi sono sentita una sorella maggiore di mia figlia, tra noi ci sono appena 17 anni di differenza. Anzi posso dire che lei mi ha fatto e continua a farmi da mamma, trattandomi come una bambina da accudire. Ricordo quando la sera la mettevo a letto, le rimboccavo le coperte e la salutavo con una carezza e un bacio. Poco dopo era lei, ancora piccola, a venire in camera mia per fare altrettanto con me. Tuttora mi accudisce, mi fa restare a letto per dormire fino alle 8 del mattino ma io alle sei sono già sveglia.

E la Gigliola moglie?

Il primo matrimonio fallì. Poi nel 1972 durante una vacanza conobbi Enzo Cibecchini, un fiorentino spassosissimo, ci sposammo il 6 giugno 1974 e siamo stati 33 anni a ridere insieme. Purtroppo è scomparso il 23 gennaio 2006.

Si è mai chiesta come fa a 90 anni ad avere ancora tanta lucidità?

Veramente per me è come se ne avessi venti, sia come salute che come mentalità. Purtroppo ho la maculopatia e non posso più leggere né cucire, e dire che sono stata anche una brava sarta durante la guerra. E non posso nemmeno più camminare per cui sto a casa a parlare coi cani, altrimenti sarei andata più spesso in chiesa: tutti mi dicono che ho una bellissima voce, da ragazza cantavo da soprano in tutte le chiese di Tivoli, peccato che papà non mi abbia voluto mandare a studiare al Conservatorio di Santa Cecilia.

Cos’è la vita?

E’ un’avventura che può essere bellissima o bruttissima, a seconda di come la si vive. Per me è stata bellissima, rifarei tutto daccapo per rivivere il capolavoro di figlia che ho, il capolavoro di lavoro che ho svolto, il capolavoro del mio carattere grazie al quale ho saputo godere delle cose più semplici che la vita può offrire. Sono sempre felice. Nei momenti difficili mi gelo e divento un pezzo di ghiaccio, mi rimbocco le maniche e li affronto con serenità e senza scene teatrali.

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