Impossibile che in un partito dove ogni decisione è stata presa all’unanimità oggi saltino diversi parlatori con una linea che differisce da quella centrale. Incredibile che un uomo come Bonaccini sul quale il partito ha investito tutta la sua forza riuscendo a coinvolgere pezzi di società e appartenenze che si erano disallineate, ora faccia il bastian contrario e dica che Salvini in fondo ha ragione. È una situazione – questa – che fa saltare ogni schema, che rende succube il PD al Movimento Cinque Stelle. Tutto il contrario per cui nell’agosto del 2019 si era deciso per questa avventura con il proposito non detto di normalizzare il torrente in piena dei grillini.
Per questo e per altro, Zingaretti si è dimesso. L’altro va a guardare un partito che deve ridarsi un volto e capire rifiutando quel ruolo di partito centrista governativo per vocazione. Bensì un partito che ridefinisce il riformismo del terzo millennio. Quest’ultima parte non potrà essere decisa alla riunione della direzione nazionale dove ci si aspetta che le dimissioni di Zingaretti siano respinte per dar vita a una discussione.
Anche perché se le dimissioni fossero accettate, o respinte e di nuovo rassegnate, il PD dovrebbe riandare alle elezioni coi capannelli in piazza. Cosa decisamente sconsigliata coi dati che illustrano un clima di epidemia pandemica salito a ventimila casi di nuovi contagi.
Un partito che si deve “fasare” – espressione in uso negli ambienti motoristici per intendere la necessità di buon funzionamento di ogni comparto e ogni comparto nell’insieme.
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