Anna Di Pompeo è stata il presidente del Comitato Promotore per il Comune Autonomo di Fonte Nuova. Arrivata a Tor Lupara nel 1986, per professione gestisce un negozio di antiquariato a Monterotondo. L’abbiamo incontrata per farci raccontare il processo di nascita del comune di Fonte Nuova e per fare un bilancio di quell’esperienza a più di vent’anni di distanza.
Come nasce l’idea di un comitato?
Intorno al 1989-1990 c’era un bel fermento a Tor Lupara e c’erano molte persone impegnate nell’associazionismo e nel sociale come me. Alla fine ci ritrovavamo nel Comitato cittadino che era presieduto da Arturo Granieri e che all’epoca si riuniva nella Parrocchia Gesù Maestro grazie a Don Lino che metteva a disposizione una sala.
C’erano molti problemi e uno di questi era la zona iniziale di Tor Lupara che faceva parte del comune di Guidonia. Un giorno il presidente mi fa “Perché non ti studi un po’ la questione e cerchi di capire se è possibile unire a Mentana quel pezzo di territorio?”.
Era una cosa assurda, perché un lato della strada era Mentana e l’altra Guidonia, addirittura c’era il prefisso telefonico 0774 quando attraversavi la Nomentana.
Io ho preso molto seriamente la cosa e dopo otto mesi ho spiegato a tutti che non era possibile fare questa cosa.
Perché?
Perché la legge prevede solo la possibilità di costituire un nuovo comune, non quella di annettersi dei territori come il Risiko. Insomma, dovevamo staccarci da Mentana e costituire un comune nuovo.
Ho indicato a tutti qual era la strada da seguire se volevamo andare avanti, ossia una proposta di legge regionale di iniziativa popolare. Eravamo tutti d’accordo e così abbiamo costituito un comitato ad hoc, anche per non confliggere con quello storico dei cittadini, e mi hanno eletta presidente visto che mi ero studiata per prima la cosa. Il vicepresidente era Ugo Di Rienzo, i più attivi erano Aldo Sacra e Guido Costa. Poi è entrato anche Giovanni Richichi.
Come vi siete mossi per creare consenso attorno all’idea di un referendum per costituire un nuovo comune?
Abbiamo iniziato a organizzare degli incontri e dove andavamo trovavamo terreno fertile. Ad esempio a Santa Lucia, dove i cittadini si sentivano letteralmente abbandonati con mille problemi, tra cui il principale quello delle fogne. Lì l’opinione di tutti era unanime, mentre a Tor Lupara la situazione era diversa.
In che senso?
Nel senso che alcuni vecchi torluparesi erano legati all’idea di Mentana e non ne volevano sapere di questa novità.
Una questione quasi ideologica…
Apparentemente sì, ma c’era dell’altro. Da subito ho percepito la differenza di vedute tra chi, come me, a Tor Lupara ci è arrivata e chi ci è nato o ha avuto i parenti come primi abitanti. Molti di questi sono arrivati poveri dall’Abruzzo, le Marche o il reatino e hanno iniziato ad abitare il centro della frazione. I loro figli hanno fatto quasi tutti i geometri o i costruttori e hanno tratto profitto da questa situazione, dove si poteva fare tutto e dove in pochi avevano modo di entrare in contatto con il comune di Mentana.
Quando andavamo a lamentarci che qualcosa non funzionava, ci rispondevano: “Ma che volete, i consiglieri comunali sono tutti di Tor Lupara”.
La politica come ha accolto questa scelta?
Malissimo. Solo il sindaco dell’epoca Luigi Cignoni ci disse che sarebbe stato il sindaco di tutti, di chi voleva la divisione e di chi non la voleva. I consiglieri comunali ci bollarono come gente superficiale e qualunquista, certi che non sarebbe mai andata in porto questa iniziativa, perché troppo complessa per noi.
Cosa serviva per arrivare al Referendum?
Servivano 5 mila firme autenticate in sei mesi di tempo, ma soprattutto serviva un progetto di città con tanto di studi, confini precisi e altri documenti. A casa ancora conservo una cassapanca di documenti che ho prodotto e poi conservato, che davo in copia anche a Don Lino.
Lui cosa pensava di questa iniziativa?
Era felice, perché vedeva che c’era fermento e voglia di fare, di migliorare la situazione dei cittadini.
È stato complicato?
Sì, ma devo dire che siamo andati veramente a fondo alla questione studiando tutto nel minimo dettaglio. Ci confrontavamo costantemente con la dottoressa Marilena Tobia che lavorava alle Autonomie presso la Regione Lazio. Avevamo dei tecnici dalla nostra parte.
In quel periodo avevamo fatto rete con altre realtà che come noi cercavano di costituire nuovi comuni e con alcuni siamo rimasti in contatto. C’era Ostia che voleva diventare comune a sé, così come Boville rispetto a Marino, il Lido di Diana rispetto a Fiumicino.
Ma noi avevamo un’arma dalla nostra parte: eravamo distaccati dalla politica e trasversali. Non avevamo nessun partito o nessun politico che ci spingeva e i cittadini questo lo percepivano.
Come è andata la raccolta delle firme?
Abbiamo capito da subito che avevamo un consenso enorme dalla nostra parte. Alla fine ne abbiamo raccolte 5.480. Stavamo con i banchetti sempre e ovunque, ma tanto per dirne una i cancellieri del Tribunale che venivano a validare le firme ci costavano 250 mila lire al giorno, non è come oggi che questa funzione la può svolgere anche un consigliere comunale.
Da allora a oggi l’Italia è cambiata profondamente. Il vento dell’antipolitica è iniziato proprio in quegli anni con Tangentopoli. È possibile che in qualche modo il comitato abbia cavalcato questa sfiducia?
Sì, è possibile. All’epoca consiglieri comunali e assessori si sentivano quasi superiori a noi, ci snobbavano. C’era l’idea di una politica superiore al popolo, mentre negli anni si è poi quasi ribaltato il concetto.
Come avete scelto il nome Fonte Nuova?
Abbiamo tirato fuori un po’ di proposte e quelle che piacevano di più erano Fonte Nuova e Monte Gentile. Così abbiamo comprato un sacchetto di gettoni e li abbiamo dati insieme all’elenco del telefono a due nostre ragazze: Alessia e Stefania. Le abbiamo incaricate di chiamare tutti e sentire quale preferivano. È stato bello constatare che ci conoscevano tutti.
Perché Fonte Nuova?
Per la presenza dei fontanili storici su tutto il territorio, ma anche per una rinascita che viene dalle sorgenti. Nuova per la novità.
Il primo stemma l’ho disegnato io come bozza e comprendeva un fontanile, le rose simbolo di Santa Lucia e la Torre simbolo di Tor Lupara.
L’esito del Referendum è storia. Siete rimasti sorpresi?
No, perché avevamo la percezione di come stavano andando le cose. Certo non ci aspettavamo alcune percentuali. A Castelchiodato quasi il 90 per cento, anche perché loro volevano andare con Cretone e Palombara Sabina e vedevano il nostro lavoro come propedeutico.
Come avete festeggiato?
Abbiamo fatto una festa nella palestra dell’istituto Pertini qui sopra la piazza, dove ora c’è il Comune.
Cos’è successo dopo la vittoria del Referendum?
Il primo passaggio è stato il voto in Consiglio Regionale e ricordo ancora i consiglieri comunali di Mentana andare a parlare con ognuno dei sessanta consiglieri regionali per cercare di dissuaderli dal votare, ma ormai il popolo si era espresso.
Poi, però, sono iniziati i problemi. Quello principale è stata la decisione di lasciare in carica il sindaco e l’amministrazione comunale di Mentana fino alla scadenza naturale del mandato, ossia ottobre del 2001. In quei due anni il “sistema” ha avuto la possibilità di ricompattarsi e organizzarsi. Noi avevamo proposto invece un’amministrazione tecnica che si occupasse di mandare avanti il progetto di nuovo comune e anche di gestire i fondi che per legge sarebbero dovuti arrivare per realizzare la nuova sede comunale, l’arredo urbano, la biblioteca e altro.
È stato disatteso il punto di partenza, ossia che entro 3 mesi avrebbero dovuto fare un nuovo piano regolatore e arrivare alla divisione dei beni. Invece dopo venti anni ancora non è conclusa.
Noi abbiamo dato una traccia ben precisa, ma la politica non l’ha portata avanti.
Io però ce l’ho anche con i cittadini.
Perché?
Perché dopo tutto quello che è successo mi aspettavo una ventata di cambiamento, invece hanno votato gli stessi politici di prima. Quelli che avevano osteggiato il nuovo comune e quelli che hanno contribuito a distruggere questo territorio.
Hanno permesso di amministrare a sindaci che si sono espressi sempre contro la nascita del nuovo comune. Non mi è sembrato coerente.
Ancora oggi uno dei temi ricorrenti della politica è che il comune di Mentana, senza la divisione, avrebbe 55 mila abitanti e sarebbe uno dei più grandi e dunque importanti della provincia di Roma…
Non credo che il numero degli abitanti da solo serva a qualcosa. Quello che conta è come vengono amministrati questi comuni.
Che fine ha fatto il Comitato?
Si è spaccato. Noi avevamo fatto un patto di ferro, ossia che se dovevamo impegnarci in politica ci saremmo dovuti candidare tutti insieme con una lista, oppure niente. Così è stato la prima volta. Ma poi gli ex Ds sono riusciti ad avvicinare e convincere Richichi che è arrivato a ricoprire anche il ruolo di vicesindaco di Fonte Nuova, ma di fatto è saltato l’accordo.
Ho ancora buoni rapporti con alcuni membri, ma lo spirito iniziale è stato tradito.
A Colleverde a fasi alterne si sente parlare di annessione a Fonte Nuova. Anche questo è stato un tema caldo in questi anni. Perché non avete pensato subito di accorpare anche loro nel nuovo comune? Avrebbe senso farlo oggi?
Abbiamo fatto tante riunioni con il comitato cittadino di Colleverde, ma non abbiamo concluso nulla. Sarebbe stato un problema all’epoca, così come ora, perché il comune di Guidonia Montecelio non si sarebbe mai privato di una frazione che contribuisce non poco al bilancio comunale, viste le tante villette che pagano l’Imu.
A mio avviso oggi avrebbe senso andare tutti con Roma, ma credo sarebbe molto complicato portare avanti un processo del genere.
Anna, in conclusione, rifarebbe tutto? La divisione è stata comunque un bene per i cittadini di Tor Lupara e Santa Lucia?
Nonostante tutto, credo di sì. Qualcosa in più si è visto. Ma dobbiamo essere onesti, l’anima del comune ancora non c’è.

FONTE NUOVA – Venti anni fa la nascita del Comune
Intervista ad Anna Di Pompeo, presidente del Comitato Promotore
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