Massimo D’Alema poi. D’altronde, a un comunista ortodosso come Massimo Coccia la svolta della Bolognina non andò mai giù, per questo si ritirò a vita privata continuando a seguire la politica dalle pagine de L’Unità.
L’ultimo vero “compagno” tiburtino si è spento nella notte tra mercoledì 11 e giovedì 12 luglio nella sua casa di viale Trieste 42, nel centro di Tivoli. Da due mesi s’era ammalato Massimo Coccia, eppure a dispetto dei suoi 90 anni aveva rifiutato di farsi ricoverare in ospedale.
Era fatto così, comunista e ateo convinto, s’è “piegato” alla volontà dei familiari di farsi seppellire dopo un funerale religioso a condizione che fosse celebrato nella chiesa di San Francesco nel “suo” quartiere Santa Croce e da don Benedetto Serafini, vicario del vescovo e referente del Villaggio Don Bosco.
La funzione si è tenuta come aveva chiesto lui venerdì mattina, alla presenza di politici di ieri e di oggi. Dai consiglieri comunali del Pd Andrea Ferro e Sergio Semproni, a Bernardino Di Biagio (Alleanza per Tivoli), dal capogruppo del Pdl Maria Rosaria Cecchetti ad Andrea Napoleoni di Io progetto Tivoli, fino all’assessore ai Lavori pubblici Marino Capobianchi, ieri nelle fila di Rifondazione comunista oggi nell’Udc.
Oltre a una sfilza di ex sindaci, come Mariano De Propris e Luciano Berti, Alcibiade Boratto ed Ezio Fiorenzi, Giuseppe Baisi e Sandro Gallotti, presente in veste di primo cittadino e di nipote – è il figlio della sorella Valeria – di Massimo Coccia. “Zio – ha detto Gallotti – era una persona coerente e onesta. Anch’io votai falce e martello la prima volta in cui fu candidato alla Provincia di Roma”.
Era il 1976, nello stesso anno Massimo Coccia conquistò per la prima volta uno scranno a Palazzo Valentini, mantenuto ininterrottamente per quindici anni, e di lì a poco puntò senza successo a rappresentare Tivoli anche alla Camera dei Deputati.
Tiburtino doc, nato il 16 gennaio del 1922, penultimo di 13 figli, papà Simeone – commesso a Palazzo San Bernardino – e mamma Crescentina casalinga gli permisero di sostenere gli studi classici al liceo “Amedeo di Savoia” e di intraprendere la carriera universitaria in Giurisprudenza.
Non divenne mai avvocato, Massimo Coccia, gli preferì l’impiego all’Agenzia delle Entrate grazie al quale riusciva a conciliare gli impegni politici, gli stessi coltivati dal fratello fondatore a Tivoli dei comitati civici Gedda. Iscritto fin dal 1947 alla sezione tiburtina del Partito comunista italiano, il 22 novembre 1964 fu eletto per la prima volta consigliere comunale, un ruolo ricoperto per ben 29 anni, anche quando il Pci era oramai diventato Pds, mentre dal 29 luglio 1968 al 7 settembre 1970 fu assessore all’Edilizia privata della giunta Boratto.
Un momento storico per la città che vide approvato per la prima volta il Piano regolatore, un momento storico per Massimo Coccia eletto per due volte sindaco della “Superba”.
Erano gli anni in cui l’elezione diretta non esisteva, la nomina a primo cittadino dipendeva dalle alzate di mano dei consiglieri eletti.
Ebbene, nel 1967 Coccia stabilì un record: il 3 giugno fu scelto sindaco, ma l’11 luglio rassegnò le dimissioni perché la sua nomina dipese dai voti degli avversari del Movimento sociale.
Fatto sta che quando il 4 agosto 1975 gli si ripresentò l’occasione e i comunisti mantenevano la maggioranza resse le sorti dell’amministrazione fino al 9 giugno ‘76, l’anno in cui Coccia incassò il 48 per cento, ovvero un tiburtino su due votò per la sua elezione in Provincia.
La sua uscita di scena dalla politica tiburtina risale al 1998 al congresso del Pds prima che il termine partito fosse cassato definitivamente a favore di Democratici di Sinistra, lontani anni luce dai suoi ideali di “falce e martello”.