Guidonia – Giuseppe Bonansinco non è pedofilo. Sette anni di processo per dimostrare che il bidello non “toccò”

Perché sia finito sotto processo se l’è chiesto pure la pubblica accusa nell’udienza finale di un iter giudiziario durato sette anni. C’era finito per due episodi equivoci raccontati a insegnanti e genitori da una bambina e da un ragazzino di Villalba, la prima alunna della scuola elementare di via Rieti, il secondo studente della media di via Trento.
Nel 2007 Giuseppe Bonansinco, 66 anni di Villanova, aveva chiuso una carriera trentennale da collaboratore scolastico con la più infamante delle accuse: violenza sessuale su minore.
A denunciarlo nel 2006 era stato un 55enne, papà di Stefano uno studente di dodici che all’epoca frequentava la seconda media, “toccato” nelle parti intime davanti a un compagno di classe sul corridoio e al cambio dell’ora. Un episodio incredibile anche agli occhi del pubblico ministero Andrea Calice, come incredibile è risultata per il magistrato la denuncia di una 42enne, mamma di Sara, dieci anni, che nel 2005 riferì di abbracci ed effusioni nei confronti della ragazzina di quinta elementare e oggi quasi maggiorenne.
Per questo mercoledì 9 gennaio il Tribunale di Tivoli ha assolto Bonansinco. Il collegio presieduto da Mario Frigenti e composto da Claudio Politi e Fabrizio Iecher ha scagionato il bidello dalle accuse dell’allora bambina perché il fatto non sussiste, mentre nel caso del ragazzino, oggi ventenne, in quanto il fatto non costituisce reato.
Si chiude così una vicenda che divise l’istituto “Alberto Manzi” tra colpevolisti e innocentisti, a giudicare dai trenta testimoni ascoltati dagli inquirenti nell’ambito dell’inchiesto condotta dall’allora pubblico ministero Marco Mansi e dalla decina che hanno deposto in aula.
Nell’udienza del 29 giugno scorso davanti ai giudici la mamma di Sara aveva riferito di non ricordare bene l’unico episodio penalmente rilevante denunciato nel 2006, sottolineando comunque i comportamenti fastidiosi e invadenti del bidello. Il primo giugno 2011 era stato lo stesso Stefano, parte civile nel processo, a ribadire di esser stato “toccato” ai genitali in corridoio, vicino alla cattedra, dove Bonansinco leggeva il giornale. Circostanza confermata da un’insegnante che tuttavia ha detto di non poter ben distinguere se si fosse trattato di una carezza o di un pugno, di quelli che per scherzo i maschi si tirano.
Insomma, zero prove che Bonansinco si sia spinto oltre per molestare i ragazzini e trarne una soddisfazione sessuale. Non a caso, nella sua requisitoria il pubblico ministero Andrea Calice ha ricordato come già nel 2006 l’allora Giudice per le indagini preliminari Cecilia Angrisano respinse la richiesta di misura cautelare ai domiciliari per il bidello avanzata dal pm Marco Mansi, convinta com’era che la condotta del bidello era caratterizzata più da un’invadenza fisica e da un’eccessiva confidenza che da un vero e proprio impulso sessuale.
Suggestioni, evidentemente amplificate dal tam tam, secondo il pm Calice, basate sul racconto scarno reso da Sara e su una illogica interpretazione sessuale da parte di Stefano, comunque entrambe prive di una valenza erotica e soprattutto maturate in circostanze dubbie.
“Se l’imputato – ha detto il magistrato – ha toccato i genitali dell’alunno lungo il corridoio e davanti ad altri alunni e docenti, l’unica spiegazione che posso dare è che si è trattato di un gesto scherzoso. Tanto più che i testimoni non hanno riferito altri particolari penalmente rilevanti”.
“Non si spiega – ha aggiunto l’avvocato Stefano Nicolucci del Foro di Roma, difensore di Bonansinco – perché il mio assistito non abbia avuto né prima né dopo comportamenti sopra le righe. Ma soprattutto non si spiega il presunto comportamento orientato indifferentemente ad alunni maschi e femmine. Forse era giusto celebrare questo processo, ma oggi è altrettanto giusto chiuderlo e riconoscere che i reati contestati non esistono”.

Marcello Santarelli

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