Arriviamo nella zona in tarda mattinata, in una giornata umida, è piovuto da poco, la strada, con l’asfalto che ha conosciuto tempi migliori, è tappezzato da pozzanghere che riflettono nuvole cariche di pioggia. Sulla destra un palo con una insegna di legno, ci avvisa che stiamo entrando in un’area protetta.
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Siamo nel parco della Marcigliana, una distesa di 4000 ettari di terreno, una serie di alture delimitate ad Ovest, dal corso del Tevere, a Sud dal fosso della Bufalotta, e a Nord dal Rio del Casale.
Questa zona era chiamata dagli antichi romani ”Latium Vetus” per la presenza di numerose città abitate da popoli latini. Nel territorio del parco si trovava infatti la città di Crustumerium, il cui insediamento più antico risale all’Età del Bronzo.
Al culmine di una leggera salita, e dopo una curva, ci appare ciò che resta di una costruzione ormai semidistrutta, con le finestre senza più infissi da decenni, che ci guardano come tanti occhi spettrali. Il muro che una volta proteggeva chi era dentro, o chi era fuori, in alcuni tratti è un cumulo di macerie.
L’unica testimonianza e quella di una vecchia signora, che ricorda di aver passato degli anni in un orfanotrofio gestito dalle suore, negli anni trenta, e lo ricorda bello, con tante piante e tanti fiori. Sembra difficile paragonare le rovine che vediamo, ad un edificio circondato da belle piante lussureggianti.
Ci accoglie un tale che dice di essere il guardiano e ci chiede qualche euro per entrare, la curiosità è tanta che paghiamo volentieri quella gabella, sapendo bene che è una tassa a fondo perduto.
Si entra nell’edificio da una porta laterale, saliamo le scale senza più ringhiera, passando lungo il muro per non rischiare di cadere, ed entriamo al primo piano. Il pavimento è inesistente, probabilmente rubato insieme alle ringhiere di ferro. Lame di luce provenienti dalle finestre creano un chiaroscuro lungo un interminabile corridoio.
Le stanze, senza più porte, si aprono innumerevoli a destra e a sinistra, dentro quelle camere, nelle poche pareti rimaste ancora in piedi, inquietanti graffiti. Strani animali con lunghe code, due teste su un solo corpo, grandi bocche spalancate e occhi neri che guardano nel vuoto. su altre pareti si leggono brani di poesie scomposte e mai terminate. Messaggi d’amore malinconici.
Qua e la vegetazione entra prepotente, cercando di riconquistare i suoi spazi.Salendo le scale si arriva sul terrazzo, dove una ventata di aria pulita ci accoglie insieme ad un piacevole sguardo
sulla campagna romana.
Ora questa inquietante costruzione, con le sue storie, vere o inventate, è meta di amanti della fotografia, sempre alla ricerca di situazioni uniche e particolari.
Giorgio Moscatelli