Un asinello strappato dal macello da Giuseppe Saporito e Leandro Brunacci, i proprietari che se ne prendono cura e lo stanno tirando su con il massimo delle attenzioni.
Anche domenica 26 febbraio, tempo permettendo, durante il Carnevale, l’asinello starà in giro a disposizione per fare foto e farsi accarezzare dai bambini.
Per Giuseppe Saporito, 38 anni, artigiano, che si occupa di restauri edili, prendersene cura è un modo per isolarsi dal mondo e rilassarsi.
Come è nata l’idea di prendere un asinello?
È una passione che avevo da sempre, perché anche mio nonno ne aveva uno. Poi sono stato al palio a Campagnano e Torrita di Siena e insieme a Leandro abbiamo iniziato a pensare di prenderne uno. Così siamo andati alla fiera di Osteria Nuova con l’idea di comprare un’asina e abbiamo conosciuto il titolare di un’azienda agricola che ne aveva da vendere.
Siamo andati a trovarlo nella sua tenuta, insieme a Leandro e Bruno Alesiani, ma quando mi sono avvicinato l’asina è scappata e io mi sono messo paura. Per me era la prima volta che mi avvicinavo e forse ha percepito questa paura, allora ho pensato che non se ne sarebbe fatto più niente.
Poi però abbiamo visto un altro asinello, un maschio di 9 mesi. È stato amore a prima vista, perché l’ho guardato e mi è venuto incontro.
Eravamo indecisi, ma il proprietario ci fa “Deciditi che questo domani va al macello”. Io nemmeno lo sapevo che la loro carne veniva usata per fare salsicce e wurstel. Comunque abbiamo deciso di lasciare la caparra e di prenderlo.
Pochissime, perché vive in 7 mila metri quadrati di terreno all’angolo con la Mezzaluna e quindi ha da mangiare a sufficienza. Basta solo portargli l’acqua. Comunque io vado spesso al terreno, perché mi rilassa e mi rimette al mondo contro tutti gli stress. Infatti quando vado spengo pure il cellulare e a dorso d’asino mi faccio il giro di tutte le campagne lì intorno.
Di solito vado un giorno sì e uno no d’inverno, tutti i giorni d’estate. Stiamo insieme al terreno anche 3-4 ore ogni volta. Ho fatto anche degli allenamenti di notte. Quando manco per un paio di giorni si mette a correre all’impazzata e poi raglia. E’ veramente un suono incredibile, un’espressione malinconica della natura.
Come nasce il nome Ettore?
Veramente lo volevamo chiamare Garibaldi, ma quando lo abbiamo preso ci hanno detto che era stato registrato come Ettore. Così gli abbiamo lasciato questo nome. Per noi è Ettore, l’asinello garibaldino.
Tra l’altro lì alla Mezzaluna c’è la data della prima pietra messa da Ettore Ortenzi ed è il 15 maggio, come la data della sua nascita. Era destino così.
Essere un asino è sinonimo di essere stupido. È davvero così?
Assolutamente no. Di asini a due gambe ne ho conosciuti tanti, ma a quattro pochi.
Io a Ettore lo faccio mettere seduto, salire sulla pedana, inchinare, camminare all’indietro.
Non è affatto un animale stupido, ma buono, umile, sensibile e intelligente. Solo che è lento e per noi questo sembra strano, anche se ha un effetto terapeutico perché fa rilassare. Chi non lo conosce non può capire. Gli asini non sopportano i gesti bruschi. Non devi mai muoverti a scatto o alzare la voce. Non bisogna mai trattarli male.
Lui deve ragionare con la sua testa, altrimenti si impaurisce e si intestardisce. A differenza dei cavalli a cui puoi dare gli ordini, certi che li eseguano, gli asini riflettono quando gli dai un comando. Se individuano un pericolo devono trovare il modo di risolverlo da soli, altrimenti si impuntano. Forse per questo motivo possono sembrare stupidi.
La prossima missione è quella di far conoscere Ettore ai mentanesi?
Sì, già alla festa di Sant’Antonio a Monterotondo l’ho portato e gli avranno fatto un centinaio di foto. Anche quando l’ho portato in giro a Mentana la gente si ferma per accarezzarlo. L’altro giorno una signora si è fermata ed è scesa dalla macchina per accarezzarlo. Attira un sacco di persone.
Gli abbiamo fatto una mantella antica, una “sbardella”, e abbiamo restaurato una “vignarola” degli anni Cinquanta, ossia un calesse con le ruote di ferro. Siamo andati a prenderlo in Umbria da un signore che non ce lo voleva più dare alla fine, perché diceva che gli ricordava la gioventù, mentre il figlio non vedeva l’ora di disfarsene. Poi lo abbiamo restaurato.
Adesso stiamo insegnando a Ettore ad andare al calesse e con le belle giornate andremo in giro per i quartieri a farlo conoscere. È un animale unico e mi piacerebbe farlo conoscere alla gente insieme alla storia di Garibaldi. A Mentana ci sono tante cose belle, è giusto farle conoscere a tutti.
di Fabio Orfei
Ettore l’asinello garibaldino, la nuova mascotte di Mentana
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