Anagraficamente si direbbe un eretino “doc”, ma la sua città gli è sempre stata un po’ stretta. Difficile immaginare i confini, locali e non, quando si guardano i suoi lavori. Oggi ha un agente negli Stati Uniti e uno nel continente Asiatico. Un mercato molto interessante e ricettivo dove i lavori che illustra trovano un’ottima accoglienza.
Studi all’ex Marco Polo, figlio di Lorenzo e Cinzia, agente di Polizia locale lui e casalinga lei, Fabio ha anche una sorella, Fabiola. Il suo prossimo passo, il suo progetto futuro, è quello di realizzare un’opera tutta sua, pensata, scritta e illustrata. Un’opera destinata ai bambini, che sono lettori voraci e in grado di elaborare e assorbire anche storie dai temi importanti.
Fabio, tu hai iniziato a disegnare poco dopo essere nato. In che senso?
Già all’epoca avevi capito che questo sarebbe stato il tuo lavoro?
Non esattamente lavoro, ma era sicuramente la cosa che mi piaceva di più fare.
Durante l’infanzia e adolescenza ho cambiato mille volte idea.
Conservi ancora i disegni di quando era bambino?
Non ho niente… assolutamente nulla.
Quando hai capito che questa tua passione poteva, invece, diventare un lavoro?
Più o meno verso i 18 anni, quando ho deciso cosa fare dopo le superiori. Non ero sicuro che sarebbe diventato un lavoro, però l’intenzione c’era. Per quello mi sono iscritto alla scuola di comics Inizialmente non avevo deciso di fare illustrazioni, ma animazione. Ho lavorato in uno studio su due serie animate. Su una di queste, Egyxos di De Agostini, ho lavorato dall’inizio alla fine del progetto.
E’ stata un’esperienza molto formativa. Li ho capito che lavorare in gruppo, una cosa che inizialmente un po’ mi spaventava, in realtà mi piaceva e oggi un po’ mi manca. D’altrocanto, però, non hai questo controllo del prodotto. E’ un lavoro collettivo su cui mettono mano molte persone. Con l’illustrazione, invece, la cosa è un po’ più nelle mie mani.
Oggi sei freelence. Cosa significa nel tuo settore?
Che ogni volta che finisco un lavoro devo trovarmene uno nuovo.
E come arrivano i nuovi lavori?
Di base li potresti cercare, proponendoti alle case editrici con il portfolio. Io, da questo punto di vista, sono piuttosto fortunato perché mi arrivano da soli. Un po’ grazie ai contatti che ho preso negli anni, e poi grazie al fatto che ho due agenti, uno negli Usa e uno in Cina. Con quello americano non ho ancora lavorato, ma con quello cinese ho fatto un po’ di cose sul mercato cinese.
In Cina su cosa hai lavorato?
Il Piccolo principe, uscito l’anno scorso. Un’edizione parascolastica che serviva agli studenti cinesi ad imparare l’inglese. E poi ho illustrato due fiabe di Andersen per una collana di libri per le librerie cinesi.
Quello cinese è un mercato in espansione. Che idea ti sei fatto?
Non ho un’idea precisa di come sia il mercato. In mi ritenevo nemmeno adatto per il gusto asiatico, che è molto elegante, e invece sono capitati questi lavori. E’ stato molto bello lavorare con loro, mi ha dato molta soddisfazione.
Tu illustri opere letterarie famose per un pubblico di bambini, caratterizzate da un tratto molto bello ed elegante. Ma soprattutto da colori molto particolari, che sembrano un po’ il mondo del sogno.
Cosa ti ispira quando disegni?
Mi ritrovo molto in questa definizione. A che mi ispiro? A me piace molto leggere classici della letteratura, sia per l’infanzia che per gli adulti. Quindi quando devo illustrare fiabe o miti greci penso a quelle storie, che leggevo da bambino.
Com’è la tua giornata tipo?
Mi sveglio piuttosto presto, perché le ore servono per lavorare. Dopo colazione inizio rispondendo alle mail e poi a disegnare e – pausa pranzo a parte – si va avanti fino alle 18. Tranne quando sei sotto consegna, in quel caso non c’è orario di fine.
Il tuo colore preferito?
L’ottanio, una specie di verde che tende al blu. Ora non riesco più a fare dei cieli azzurri, ma solo ottanio, che poi è un colore di un metallo.
Quando non lavori cosa leggi?
Libri sul tema mi piacciono molto, come quelli sulle teorie del colore. Nel mio tempo libero leggo fumetti e romanzi.
Chi è l’autore di fumetti italiano di riferimento?
Emanuele Fior e Gipi.
Monterotondo. Tu l’hai scritto, nella tua biografia, una cittadina non proprio ridente vicino Roma. Qual è il rapporto con la tua città?
La verità è che non la vedo moltissimo. Principalmente lavoro chiuso nella mia camera e, quando, devo uscire lo svago lo colloco a Roma.
Forse ti sta un po’ stretta?
Un po’ sì, ma non è tanto colpa della città quanto il fatto che i miei colleghi sono a Roma, principalmente al Pigneto.
Cosa vedi nel tuo futuro?
Spero di riuscire a lavorare per il mercato francese. Soprattutto una cosa che vorrei è scrivere i miei albi, ovvero diventare autore.
Se domani avessi la possibilità di farlo che storia racconteresti?
Una storia forse ce l’ho. E’ la storia ispirata alla Sirenetta, una storia che parla di diversità e integrazione. Ovvero quello che vorrei leggere se fossi un bambino e magari non mi sentissi così perfettamente integrato. E’ quello che vorrei trovare in libreria, invece di protagonisti biondi e perfetti.
Queste storie per bambini sono tutte rose e fiori? O magari nascondono temi più complicati.
Il mercato è vario. Ci sono dei testi che in apparenza sembrano semplici e leggeri ma che nascondono temi importanti: dal rapporto con la morte all’elaborazione di un lutto, alla depressione al rapporto con Dio.
E i bambini le recepiscono?
Secondo me ad un livello sottile sì. Sono un pubblico molto attento. Anche bambini molto piccoli possono affrontare tematiche importanti.