Una clausura che oramai è nelle cose

Non è la prima volta che l'umanità si appresta a difendersi da un'epidemia ma è la prima volta che l’epidemia assume delle vere e proprie proporzioni globali. Quindi non abbiamo un metodo

di Angelo Nardi
Non abbiamo modelli. Non c’è uno schema. Non è la prima volta che l’umanità si appresta a difendersi da un’epidemia ma è la prima volta che l’epidemia assume delle vere e proprie proporzioni globali. Quindi non abbiamo un metodo.
È il caso in cui, come diceva Wittgenstein di certi giochi linguistici, “dobbiamo fare le regole mentre andiamo avanti”. E allora dobbiamo guardare senza infingimenti cosa stiamo facendo adesso e come l’espansione del virus se ne infischi di quello che stiamo facendo.
Nella prima fase della clausura, a marzo aprile, in Italia, la crescita è continuata ad essere esponenziale senza alcun sensibile modifica anche dopo due, tre settimane di lockdown, La curva di terapie intensive e di decessi è continuata a salire fino a conoscere il plateau, non il picco, come era stato detto.
Oggi sono in molti a fare il tifo per il lockdown. IL primo ad uscire allo scoperto è stato Walter Ricciardi. E se lo dice lui vuol dire che c’è una parte del governo che tifa per il nuovo lpckdown. Lanciano un messaggio della serie ‘chi vuole capire capisca’. Credo che questa misura sia peggiore del male. Ma non per motivi di produzione che si schiaccerebbe facendoci trovare sul lastrico alla fine di questa baraonda. Bensì perché non ha dimostrato di portare a risultati apprezzabili.
Anche su The Lancet si fa uno studio comparativo su 131 stati e si evidenzia che servono 28 giorni almeno per avere risultati con la clausura di un’intera comunità. Però lo studio non ha fatto il paragone con la Svezia che in piena prima crisi pandemica ha avuto un morto un decesso ogni 1.670 cittadini. (Solo per fare un esempio in Italia la stessa media è stata di un decesso ogni 1714). IL 28 ottobre si accende il caso Svezia per il coronavirus. Solamente che nel paese nordico di nuovi decessi se ne contano nove e tre sono i casi di malati in rianimazione. Chi vuole dedurre qualcosa lo faccia.
I fatti di oggi riportano però una realtà in cui il dibattito sul da fare continua ad essere divisivo come se ci trovassimo a discutere di uno zero virgola di PIL e non della sussistenza di un modello. Ciò fa dedurre, da una parte, che la crisi è poco seria. Non è veramente sentita. I popoli e i suoi rappresentanti non trovano l’unità come fu per l’Occidente davanti alla tragica guerra contro i totalitarismi nella Seconda Guerra Mondiale.
La gente non è solidale. Ha solo paura. A Nizza un integralista islamico riesce ad ammazzare tre persone senza che nessuno intervenga a soccorso.
Siamo forse arrivati al tramonto? Si compie il senso del termine Occidente che in ‘occaso’ trova la sua radice semantica?
La crisi che abbiamo davanti non è solo di modelli. (Questo lo sapevamo da tempo). La crisi è nei sentimenti e nell’appartenenza. Ciascuno appartiene solo a sé stesso e ha bisogno solo di una rassicurazione: che domani potrà continuare a vivere la sua personale vita. Ma questa certezza nessun rassicurante modello potrà mai dargliela.
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