Il lato oscuro dello smart working: quando la casa diventa un ufficio

Nello scorso anno, le spese per l’acquisto di prodotti per allestire in casa una postazione di lavoro sostenute delle famiglie (tra DAD e smart working) sono aumentate del 49%. In tanti, infatti, si sono attrezzati per affinché il proprio ambiente di risultasse efficace e d’aiuto. Con le nuove modalità di lavoro in smart working derivate dall’emergenza sanitaria generata dalla pandemia, sono cambiate le nostre abitudini e a oggi in molti accusano un forte disagio: dormire in una camera da letto adibita ad ufficio.

Lavorare nello stesso ambiente in cui si vive (o più nello specifico, dove si dorme), a lungo andare, ci spinge a non riconoscere più quel luogo come un posto di confort e relax, ma come un vero e proprio ufficio, sinonimo di fatica e stress. E se da una parte il lavoro da remoto ci offre la grande comodità di restare all’interno delle proprie case, dall’altra ci spinge a continuare a svolgere le nostre mansioni oltre il normale (e pattuito) orario lavorativo.

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LO SAPEVATE?

Il termine “Smart working” deriva dal concetto di “flessibilità dei processi lavorativi” che fanno sì che, grazie alle nuove tecnologie il lavoro sia più “rapido” e “intelligente”… “smart”. Quello che noi italiani intendiamo con l’utilizzo di questo costrutto è quello che in Inghilterra coincide con la terminologia “remote working”: espressioni che indicano un lavoro da casa con orari flessibili e tramite i propri mezzi tecnologici.

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