Le autorizzazioni rilasciate nel 2008 ad un’altra società non possono essere rinnovate.
Tradotto: almeno per il momento l’ex cava di pozzolana di Corcolle, adiacente a Villa Adriana, non ospiterà un centro di raccolta dei rifiuti di Roma per fronteggiare l’emergenza ambientale dopo la chiusura di Malagrotta.
E’ quanto ha stabilito oggi, mercoledì 5 ottobre, il Tar del Lazio con la sentenza numero 12642 (CLICCA E LEGGI LA SENTENZA). I giudici amministrativi hanno infatti respinto il ricorso presentato dalla “Daf Costruzioni Stradali”, la srl milanese del Gruppo Donzelli che dal 2017 gestisce la ex cava di pozzolana in località “Porta Neola” di proprietà della “Immobiliare Agricola San Vittorino srl” del gruppo Salini, il sito al chilometro 24,700 della strada provinciale Polense adiacente alla Villa dell’Imperatore Adriano.
La “Daf” aveva richiesto di annullare gli atti attraverso i quali a gennaio 2021 la Direzione Regionale Politiche Ambientali e ciclo dei Rifiuti aveva concluso la Conferenza dei Servizi negando il rinnovo delle autorizzazioni concesse a maggio 2008 alla “Metro B1″ per il conferimento di rifiuti inerti nella cava e invitando la società a presentare una nuova istanza aggiornata alle disposizioni introdotte dal Decreto legislativo 121/2020.
I giudici hanno chiarito che l’ex cava di pozzolana nel 2008 fu adibita a discarica di rifiuti inerti poiché l’allora Commissario Delegato all’emergenza ambientale approvò il progetto della società “Metro B1 – Società consortile arl” all’epoca conduttrice del terreno. Così nella cava fu autorizzato il conferimento di terre e rocce da scavo provenienti esclusivamente dai lavori di costruzione della Linea B1 della Metropolitana di Roma.
A parere del Tar, la richiesta della “Daf” avrebbe comportato la realizzazione ex novo di una discarica in realtà mai esistita prima di ora.
Quella autorizzata nel 2008, infatti, aveva un vincolo di scopo, oramai venuto meno, unicamente per accogliere i rifiuti inerti e realizzare celermente i lavori della Linea B1 della Metropolitana di Roma. Insomma, all’epoca sussisteva un interesse pubblico che oggi non c’è.
Per cui il ricorso della “Daf” è considerato infondato.