TIVOLI – Sette ore in pronto soccorso, morto d’infarto: la famiglia fa causa all’Asl Roma 5

Carabiniere stroncato a 50 anni per “Malasanità”: ritardi nei soccorsi, l’ambulanza sbaglia ospedale

E’ stato un caso emblematico di “Malasanità”.

Un paziente cardiopatico con un dolore toracico persistente visitato e dimesso nel giro di 24 ore. Sei giorni dopo, nel pomeriggio, lo stesso paziente cardiopatico ritorna accusando i medesimi sintomi e viene curato con l’Artrosilene.

Soltanto all’alba i medici si rendono conto della gravità del caso e ne dispongono il trasferimento, ma l’ambulanza sbaglia ospedale e il paziente morirà per arresto cardiaco.

Il paziente si chiamava Vincenzo S., moglie e due figli, residente a Guidonia, 50 anni, trenta dei quali nell’Arma dei carabinieri al servizio dello Stato.

Il suo cuore si fermò all’alba di lunedì 27 febbraio 2012 al policlinico “Umberto I” di Roma ma per quel decesso non ha mai pagato nessuno.

Il 15 luglio 2019 il Tribunale Penale di Tivoli ha assolto perché il fatto non sussiste il medico di turno al pronto soccorso del “San Giovanni Evangelista” al quale la Procura di Tivoli aveva attribuito le responsabilità di aver causato il decesso con una serie di negligenze e violando le linee guida e la comune prassi operativa in materia.

Secondo i giudici, il medico non è responsabile di omicidio colposo: Vincenzo S. è morto d’infarto per colpa di un sistema sanitario che non ha funzionato come doveva, tra ritardi nei soccorsi in corsia e un’ambulanza che sbagliò ospedale di destinazione impiegando quasi un’ora e mezzo per percorrere il tragitto Tivoli-Roma.

Per questo la moglie e i figli del carabiniere hanno citato in giudizio la Asl Roma 5 davanti al Tribunale Civile di Tivoli dove lo scorso mercoledì 15 febbraio si è celebrata udienza. La famiglia chiede il giusto risarcimento danni, patrimoniali e non, subiti a causa degli errori nei trattamenti sanitari che hanno portato al decesso.

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All’epoca la Procura di Tivoli ha ricostruito minuziosamente il calvario patito dal carabiniere 50enne.

Il 20 febbraio 2012 Vincenzo S. si presenta in pronto soccorso a Tivoli lamentando dolore toracico. Entrato alle 12,49, viene dimesso alle 11,30 del giorno successivo dopo una serie di accertamenti, elettrocardiogramma compreso, con la raccomandazione di tornare il 27 febbraio per eseguire la prova da sforzo, avendo dato gli esami esito negativo.

In poche parole, i medici escludono l’infarto.

Alle 16,43 del 26 febbraio 2012, però, il carabiniere avverte la necessità di rivolgersi di nuovo al pronto soccorso di Tivoli per lo stesso dolore oppressivo al petto.

Toradol, morfina, esami degli enzimi cardiaci, elettrocardiogramma, ecografia: una batteria di esami ripetuti fino a notte inoltrata, quando il cardiologo scopre l’infarto in corso e ne dispone il trasferimento in una struttura dotata di reparto di Emodinamica per un intervento di coronografia.

In cartella clinica risultano sei esami elettrocardiografici: i primi due alle 17,46 e alle 18,54, un altro paio alle 4,38 e alle 4,40, gli ultimi alle 5,12 e alle 5,33 mentre viene trasportato a bordo di un’ambulanza all’Umberto I, dove morirà alle 6,45.

In questa storia di “Malasanità” c’è un retroscena drammatico e riguarda il Centro Mobile di Rianimazione che di notte impiegò un’ora e 10 minuti per raggiungere dall’ospedale di Tivoli il policlinico “Umberto I” di Roma.

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Il retroscena più drammatico è tutto nel fax di trasferimento che il medico di turno a Tivoli, processato e assolto, trasmette dal pronto soccorso al Centro Mobile di Rianimazione aziendale alle 4,33 di quel maledetto 27 febbraio 2012.

Accertato l’infarto di Vincenzo S., il Policlinico Umberto I è il primo ospedale a dare risposta positiva per un ricovero e un intervento di angioplastica.

Così alle 4,48 del mattino autista, infermiere e anestesista caricano il carabiniere in ambulanza per trasportarlo a Roma. Ma l’ambulanza arriva al Policlinico di Tor Vergata.

Tutta colpa di un disguido nella lettura del fax.

Il medico di turno, processato e assolto, “pastrocchia” il nome del paziente in “Giuseppe S.” (anche il cognome è sbagliato, ndr) e ne dispone il “trasferimento P. U I”.

“P. U I” è l’acronimo del policlinico Umberto I, ma il personale dell’ambulanza si reca al P. T. V., il Policlinico di Tor Vergata.

Fatto sta che i sanitari di Tor Vergata non accettano un infartuato grave come Vincenzo S. nel reparto di Emodinamica e l’ambulanza riprende la corsa verso l’Umberto I.

Alla destinazione giusta la moglie del carabiniere arriva mezz’ora prima del Centro Mobile.

Solo verso le sei del mattino il paziente giunge in pronto soccorso a Roma con una ferita sul naso e prima di scendere dalla barella rassicura la consorte: “Hai visto che era un principio?”.

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