Per un quarto di secolo è corso dietro alle “batterie” di rapinatori romani e alle gang di spacciatori tiburtini, gli ultimi 15 anni li ha dedicati a una delle piaghe peggiori della società: la violenza sulle donne e sui bambini.
Il Commissario Davide Sinibaldi ritira il Premio Nathan in Campidoglio
Per questo venerdì 11 ottobre Davide Sinibaldi, 60 anni, Commissario della Polizia di Stato in pensione dal primo agosto, dal 2009 il responsabile del Pool Antiviolenza del Commissariato di Tivoli, ha ricevuto il prestigioso Premio Nathan, promosso da Asilo Savoia in collaborazione con Roma Capitale allo scopo di tramandare e diffondere la memoria del Sindaco di Roma, Ernesto Nathan, e di sua madre Sarina, patriota, benefattrice e antesignana dei movimenti di emancipazione femminile.
Il commissario Davide Sinibaldi in divisa per le strade di Tivoli
All’ex “poliziotto da marciapiede” e “cacciatore di orchi” è stato consegnata una benemerenza speciale presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio alla presenza del Sindaco di Roma Roberto Gualtieri, della Presidente dell’Assemblea Capitolina Svetlana Celli, della Consigliera della Regione Lazio Edy Palazzi e della Consigliera di Roma Capitale Carla Fermariello.
“Dopo aver conseguito importanti risultati nel contrasto alla criminalità organizzata locale – si legge nelle motivazioni del Premio Nathan – diventa Responsabile del Pool Antiviolenza del Commissariato di Tivoli, referente e co-autore del “Codice Rosa Integrato”, un modello operativo a contrasto della violenza di genere che prevede l’interazione tra forze dell’ordine, ospedali e centri anti-violenza, oltre che referente del progetto “Scuole Sicure”, il ciclo di incontri coi ragazzi degli istituti dell’hinterland tiburtino.
Collabora attivamente per l’istituzione della “Casa dell’Aurora”, una moderna struttura realizzata all’interno del Posto di Polizia di Guidonia e pensata per accogliere donne e minori.
Davide Sinibaldi è Coautore del libro “Fiele e Miele”, il cui obiettivo è la prevenzione ed il contrasto alla violenza di genere e domestica in particolare”.
L’obiettivo del Premio Nathan è quello di “additare alla pubblica estimazione l’attività di tutti coloro che, con atti di coraggio e di abnegazione civica, abbiano in qualsiasi modo giovato alla Città di Roma e alla sua reputazione, sviluppo o benessere, sia rendendone più alto il prestigio attraverso la loro personale virtù, sia servendone con disinteressata dedizione le singole istituzioni.
Il Commissario Sinibaldi negli anni 90 in moto con la Squadra Falchi della Squadra Mobile di Roma
Quarantadue anni di servizio, Davide Sinibaldi è entrato in Polizia il 15 gennaio 1983: a 18 anni era nella Digos di Roma, poi il concorso da sottufficiale e il trasferimento alla Squadra Mobile Quinta Sezione Antirapine fino al 2006 quando ha richiesto e ottenuto di essere trasferito al Commissariato di Tivoli.
Tre anni passati ad arrestare banditi e spacciatori fino a rendersi conto dei molteplici casi di violenza domestica e atti persecutori.
Argomenti discussi nella tesi di Laurea in Scienze delle Investigazioni e Scienze Tecniche Psicologiche presso l’Università degli studi de L’Aquila, che insieme ad un Master di secondo livello ne hanno fatto un esperto del settore, promotore del cosiddetto “Modello Tivoli”.
“Nel 2009 nacque il Pool Antiviolenza – racconta il Commissario in pensione – Registravamo tantissimi interventi delle volanti in situazioni di criticità familiare c’era la necessità di creare una specializzazione per affrontare reati che fino al 2009 con l’introduzione dello Stalking venivano affrontati in maniera disgiunta ma non era percepito il disvalore che procuravano alle vittime.
L’allora dirigente del Commissariato Giancarlo Santelia mi chiese di organizzare un gruppo di lavoro e un nuovo modello di intervento rispetto al passato.
Fino ad allora la volante interveniva presso un luogo in cui veniva segnalata una lite domestica, ma all’arrivo la lite era sedata per cui ci si limitava a invitare le parti a formalizzare denuncia e a scrivere una magra relazione di servizio che moriva nel dimenticatoio dei nostri archivi polverosi.
Invece pensammo di creare una sorta di data-base e di monitorare le famiglie particolarmente a rischio, laddove venivano segnalati interventi reiterati, contattavamo e contattiamo le vittime, mettendoci a disposizione per un eventuale ascolto.
Da lì è nata la collaborazione con l’allora Centro Antiviolenza “Le Lune” di Guidonia diretto da Lina Losacco insieme alla quale organizzammo un nuovo modello di intervento nei luoghi in cui la violenza emergeva, dal pronto soccorso al consultorio, fino al medico di famiglia.
Quindi interessammo il dirigente del pronto soccorso di Tivoli Ugo Donati e scrivemmo il Codice Rosa Integrato”, una rete tra personale sanitario formato e poliziotti specializzati insieme alle esperte del Centro Antiviolenza come ausiliarie di Polizia giudiziaria”.
Quindici anni faccia a faccia con l’orrore dei mostri e il dolore delle vittime di violenza. Un caso su tutti, quello di Giuseppe Rocchi, l’animatore di feste per bambini e pedofilo di Villanova di Guidonia.
“E’ stato il caso che ha segnato me e i miei collaboratori in maniera indelebile per la nostra esistenza.
“Abbiamo dovuto affrontare per la prima volta una situazione che si era così cronicizzata e normalizzata sul territorio in cui vivo: faceva male soltanto l’idea che quest’uomo potesse aver agito così male nei confronti di tanti bambini.
Ma abbiamo avuto la possibilità di toccare con mano e quasi essere presente nei momenti in cui abusava di loro.
Sequestrammo centinaia di video e dovemmo visionarli uno per uno per dare un volto a quei bambini che nel frattempo erano diventati adulti: durante la visione ho visto i miei collaboratori, tra l’altro uomini corpulenti, alzarsi per andare umilmente in bagno e piangere, perché il dolore che si prova ti fa sentire sporco, ci si vergogna di essere uomini, ci si vergogna di non aver avuto la possibilità di intervenire prima e interrompere questa escalation di violenza assoluta.
Ecco perché il caso Rocchi è uno dei fatti che mi porterò dietro per tutta la vita e così i miei colleghi che vissero questa lunga esperienza investigativa che ci ha lasciato un dolore profondo, al di là della condanna esemplare confermata anche in Appello”.