Il primo bilancio è con il segno più, dunque, per Massimo Bruni, già alle prese con la programmazione dell’attività delle squadre giovanili per il prossimo anno, che con noi parla a 360 gradi sulla funzione della Scuola Calcio, soprattutto in chiave di formazione dei giovani.
Cosa insegna il calcio ai ragazzi?
“E’ un’esperienza di sport di gruppo, che a mio avviso è da prediligere rispetto a quello praticato individualmente. Quest’ultimo abitua l’abnegazione e la costanza, ma rischia di farti diventare egocentrico. Quando sei in una squadra, nel quattro con di canottaggio, nel quintetto di basket, nell’undici di calcio alleni anche altri aspetti del carattere. Puoi condividere sia le soddisfazioni che le delusioni. Apprendi la capacità di relazione, poiché persino la coesistenza nello spogliatoio va allenata se vuoi ottenere quello spirito di gruppo indispensabile per vincere. E poi la personalità ha meno sollecitazioni se si pratica uno sport singolo, meno difese: non a caso io credo che il fenomeno del doping colpisce molto gli sport singoli, la marcia o il ciclismo. Lo considero una conseguenza della solitudine di fronte al mancato raggiungimento dell’obiettivo. L’esasperazione di fronte a una sconfitta imprevista può spingerti a gesti che non vorresti fare. Se hai un momento di sconforto, o ti senti sotto tono, ma giochi in una squadra puoi sempre confidare invece nell’aiuto degli altri”.
Ma un’esperienza in una squadra di calcio può essere educativamente completa?
“Dipende. Bisogna fare molta attenzione. Misurare bene le aspettative. Il calcio è molto, ma può non essere tutto. Non a caso io ritengo che andrebbe diffusa la realtà delle società polisportive che consentono ai giovani di sperimentare più discipline. Attraverso queste, l’atleta in erba può capire meglio quale sport fa davvero al suo caso, soprattutto se è seguito da tecnici validi, esperti e soprattutto sinceri. Per un giovane capire subito qual è lo sport più adatto per lui significa risparmiare tempo, divertirsi di più, candidarsi a maggiori soddisfazioni. Senza contare che in una società dove si praticano più discipline sportive è più facile creare sinergie: l’allenamento allo stacco è analogo per un pallavolista e per un centravanti, quello allo scatto è analogo per un centometrista e per un’ala. Senza contare che alcune tecniche di coordinamento degli schemi e alcune preparazioni atletiche sono spesso e volentieri mutuabili”.
Avviare i giovani allo sport è un problema dei tecnici o delle famiglie?
La strada sportiva a volte distoglie i ragazzi dallo studio…
“Con le nuove tecnologie questo non è più un problema. Soprattutto se i ragazzi sono seguiti attentamente. E in questo è importante il ruolo del direttore tecnico che compie un lavoro di mediazione tra famiglie e allenatori, raccogliendo informazioni, dispensando consigli, proteggendo il lavoro dei tecnici e rispettando nel contempo la funzione dei genitori, evitando confusioni di ruolo. Un buon direttore tecnico non dirige gli allenatori ma li lascia lavorare, così deve fare un genitore. Lavora con trasparenza, esperienza e intuito. Sa cogliere al volo d’intesa con gli allenatori i problemi dei ragazzi, i loro cali di concentrazione. Nei college americani si studia e si praticano baseball, calcio, basket, atletica, a scelta. Ne escono fuori brillanti laureati ed eccellenti atleti. L’Italia ha molto da imparare al riguardo. E può cominciare favorendo l’apertura della Scuola con la s maiuscola al mondo della formazione sportiva dei giovani, con molteplici articolazioni e sperimentazioni. Per evitare il proliferare della diseducazione sportiva e favorire la pratica dello sport al momento e all’età giusta. Perché lo sportivo resti tale tutta la vita”.
Bruni ci sta dicendo che ci sono delle novità in arrivo in questo senso?
“Mi dispiace non posso proprio svelarvi niente. Ma posso assicurarvi che la società sta lavorando da un po’ di tempo ad un’idea di sport molto ampia, ad un progetto che nessuno mai a Monterotondo è riuscito minimamente a realizzare. Bisogna solo aspettare un po’ di tempo…”.