L’opzione italiana non poteva spuntarla la seconda volta a distanza di quindici anni: la consolazione potrebbe esser questa. In verità l’Europa non ha fatto squadra. Sensibile è stato il defilarsi dei francesi che hanno preferito caldeggiare la candidatura di Rjhad. Ed è proprio Parigi la sede decisionale di quello che è considerata la più grande esposizione delle possibilità tecnologiche e di offerte commerciali che guardano al futuro che il mondo può offrire per l’immediatezza.
Roma e provincia, ma soprattutto Regione (che si è voluta intestare il cuore della campagna elettorale tra le proposte del mondo) hanno perso tanto. Ipoteticamente, a Expo 2030 a Roma avrebbe significato un incremento di cinquanta miliardi e il 3% del Pil. Gli organizzatori, che sono i più convincenti promoter, avevano fatto questa stima dei ritorni economici. Con centocinquanta nazioni partecipanti e la partecipazione stimata intorno a 23,6 milioni di visitatori. Ora il dibattito sarà a chi dovrà intestarsi questa sconfitta.
Va detto che Expo’ è la più grande vetrina internazionale. Paragonabile alle Olimpiadi per grandezza e rinomanza. Ma ancor più conserva uno sguardo ottimistico verso le prospettive di benessere nella vita personale e sociale. Il momento fondamentale di questa manifestazione consiste nel fatto che i rapporti di evoluzione tecnologica e di offerta commerciale, necessariamente competitivi tra loro, riescono a trovare il loro momento di affermazione in un solo grande spazio in cui mostrarsi. Un simbolismo positivista che vuole dimostrare che i rapporti mercantili non debbano essere necessariamente segnati dalla prevalenza schiacciante sull’altro ma possono vincere per la loro eccellenza.
Avere Expo quindi sarebbe stato importante perché avrebbe posto la città ospitante come vetrina del mondo. In un periodo specifico Roma si sarebbe posta come momento di accoglienza per un tipo di pubblico d’eccellenza. Ad Expo arrivano i più grandi portatori di innovazione, si assorbono le curiosità di ciascuno che vede nel nuovo un’occasione, oltre che l’essere merce o oggetto di fruizione.
E ancora, avere Expo avrebbe significato essere immagine di un’evoluzione nel mondo. Milano l’ha ottenuta tra cento polemiche posteriori nel 2015. Due location in terra d’Italia saranno apparse come una sovraesposizione per il Bel Paese. Ma c’è anche da rispondere, se non qui, dove?
Roma avrebbe avuto la possibilità di coniugare la manifestazione con il Giubileo 2025 che già si prepara ad ospitare. Eppure non ce l’ha fatta. E oltre alla motivazione per cui l’Unione Europea non ha fatto squadra, l’altra motivazione sta nella debolezza della classe dirigente della città e del paese. Sia sindaco che amministrazione regionale rappresentano ben poco nel mondo e trovano assai complicato operare una dinamica di marketing territoriale. In più Roma è stata pessima ambasciatrice di sé stessa, avvinta com’è da problemi che la attanagliano da decenni e di cui ha dato massima pubblicità. Si comincia dal dissesto finanziario in cui versa la città per finire nei suoi effetti col degrado delle strade colme di spazzatura perché la massima dirigenza del sistema paese non è riuscita a trovare una risposta per la gestione dei rifiuti. La città è quindi andata in affanno. Roma non è riuscita a rappresentare nemmeno il ‘non-sistema-italia’, diversamente da come è stato fatto per Milano nel 2015. Anche a fare da testimonial una rappresentanza un po’ deboluccia. In questa giornata finale è apparsa una campionessa olimpica Bebe Vio (bene), l’attivista per i diritti umani Trudie Styler (benissimo) e poi l’attrice Sabrina Impacciatore (…). Non è valsa l’argomentazione per cui preparando il Giubileo nel 2025 si trattava solo di estendere i preparativi del maquillage urbanistico. Anzi! Probabilmente è stato un argomento a detrazione. Così Roma otterrebbe troppo. Il resto va distribuito nel mondo. Ma è vero anche che alla Capitale vanno le briciole e le contraddizioni. La polpa sono le realtà emergenti a ottenerla. Segno dei nuovi tempi.