Un amore forte. A prova di “scappatella” Antonio e Luigia insieme da 60 anni

Una parentesi datata 1966, un’epoca in cui a Tivoli centro la donna invece di prendersela col marito, sbatterlo fuori casa o magari rendergli “pan per focaccia” come spesso accade ora, se la prendeva con la “rovina-famiglie” di turno e “assolveva” il proprio uomo per quella “una tantum” scoperta in flagranza.
Un segno dei tempi che furono, la storia di Antonio e Gina, quando Di quella “una tantum” oggi Antonio e Gina sorridono – lei un po’ meno – alla vigilia del 29 settembre, quando davanti ai due figli, ai due nipoti e ai tre pronipoti don Fabrizio Fantini li unirà di nuovo in matrimonio al Duomo, la stessa chiesa in cui il 28 settembre 1952 si disserò “sì” per la prima volta uniti da monsignor Sigismondo D’Alessio.
Antonio, tiburtino doc da sette generazioni, nato il 22 maggio 1930 in una casa di via Taddei nel rione Colle, quarto di cinque figli di Pietro e Lucia, professione contadini. Luigia, tiburtina d’adozione, nata a Roma il 14 luglio 1931, figlia di ragazza madre cresciuta in viale Mazzini insieme ai tre fratelli nati dal successivo matrimonio, dopo la terza elementare era già in fabbrica a viale Tomei a realizzare mattonelle dai cosiddetti “Civitellani”. La stessa azienda in cui finì per lavorare pure Antonio, quinta elementare nel cassetto e dodici anni a sgobbare nei campi insieme ai genitori.
All’epoca non lo sapevano, ma di lì a poco tra di loro si sarebbe infilata anche la donna della “scappatella”, pure lei operaia nella ditta di viale Tomei. E pensare che il sor Antonio, giovane talento pugilistico dei pesi leggeri, dovette faticare non poco prima di far capitolare la sora Gina, conosciuta per caso nella primavera del 1949 – era Pasqua o Maggittu, chissà – in una gita fuori porta con le rispettive comitive di amici in un uliveto nei pressi di Villa Adriana.
Le occhiatine malandrine di lui, però, non la misero subito al tappeto, tampinata com’era da uno spasimante che un anno più tardi sarebbe partito per l’America. Così un bel giorno, da buon leone del ring, Antonio sferrò il colpo decisivo. Fu quella volta in cui Gina andò in via Taddei a comperare del vino alla fraschetta dello zio di Antonio che non si lasciò sfuggire l’occasione di riaccompagnarla verso casa, farle la dichiarazione d’amore e fissare un appuntamento. Dal primo bacio alla prima notte d’amore, però, passarono due anni, un’eternità per un giovanotto pieno d’energia come lui, che racconta quanto il sesso sia importante in un rapporto di coppia e in una scala da zero a 10 meriti un bel nove e mezzo. Insomma, fondamentale.
Quattro, anche cinque volte al dì finché Dio gliene ha dato la possibilità, almeno una settimana fino agli ottant’anni suonati, dice lui, segno zodiacale Gemelli, una vita da operaio edile e da cavatore tra la Saitrav, la Ciacci e la Cimep.
Fu così che nel 1954 venne al mondo Lucia, quattro anni più tardi Dario, nato e deceduto dopo poche ore all’ospedale di Tivoli, e infine nel 1964 l’altro Dario, il maschio che porta avanti la dinastia dei Crocchiante.
Una famiglia perfetta, che ogni sera si ritrovava insieme nella casa di via Postera costruita mattone su mattone da Antonio.
Se non fosse che a un certo punto, Gina, segno zodiacale Cancro, si rese conto che il suo super-Antonio all’improvviso divenne sempre stanco. “Io mi avvicinavo e lui si allontanava”, racconta. Perché non era più così focoso? Lei ricorda che i sospetti si fecero più concreti nel momento in cui alcune amiche le misero la pulce nell’orecchio, indicandole perfino la rivale.
Non ci pensò su due volte, Gina, a “fare le poste” al marito sotto casa della “rovina-famiglie” fino a “beccarli” insieme, a farle una piazzata nel suo appartamento rifilandole ceffoni e tirate di capelli.
Eppure, quel “peccatuccio” non le ha impedito di assolvere il marito e poi tenere unita la famiglia, ma giura che tuttora quando incontra per la strada la sua oramai anziana rivale le si gela il sangue.
Di una cosa, però, è certa: “Se Antonio mi tradisse oggi, non me lo andrei più a riprendere e sostituirei la serratura”.

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