Nei giorni scorsi in particolare c’è stato un oscuramento a tappeto della foto del corpo di Stefano Cucchi sul lettino dell’autopsia. “Ormai siamo abituati a vedere corpi smembrati, ma stavolta hanno applicato la censura perché si parla di forze dell’ordine – commenta Claudia Budroni, sorella di Dino – e poi proprio in questi giorni in cui in Senato si è discusso del reato di tortura”.
Dopo l’assoluzione in primo grado all’agente che ha sparato il fratello, ora Claudia Budroni sorella di Dino, sta combattendo per accendere i riflettori sul processo d’Appello che è iniziato lunedì 4 aprile. Il 14 novembre si deciderà se il processo verrà trasferito in corte d’assise per omicidio volontario o continuerà in Appello per colposo.
Dino Budroni, secondo gli inquirenti, si era recato in via Quintilio Varo, a Cinecittà, dove abita una donna di 41 anni separata dal marito – da cui ha avuto un figlio – e che Budroni aveva frequentato per 5 mesi, non accettando però che la storia potesse finire. Budroni sarebbe andato lì, poco dopo la mezzanotte di sabato 30 luglio 2011, danneggiando il portone dell’edificio, il gabbiotto del portiere e la porta dell’abitazione della donna, che ha chiamato i poliziotti.
All’arrivo della “pantera”, Budroni si sarebbe allontanato. Poi l’inseguimento sul Raccordo in direzione dell’uscita Nomentana. All’altezza dell’uscita Bretellina i due colpi, di cui uno letale sparato dall’agente di Polizia Michele Paone quando la sua macchina era praticamente ferma. Il 15 luglio 2014 l’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo.
Fa. Or.