Il 21 gennaio i notiziari si sono peritati di ricordare i cento anni dalla nascita del Partito Comunista d’Italia. Un’attenzione che fa impressione se per cento anni l’ideologia corrente ha accomunato il pensiero di cambiamento insito nella strategia marxista come “il cancro” (Ronald Reagan), come qualcosa che “mangiava i bambini” (la Dc del primo dopoguerra) …
Eppure la mia generazione ricorda le piazze piene di ragazzi che tuonavano in coro: “Evviva il grande partito comunista, di Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer!” Erano i segretari che si sono avvicendati dal 1924 in poi. Totalmente cancellato Amedeo Bordiga, ingegnere con la passione per la politica.
Era quello un mondo arcano, lontano mille miglia da quello di oggi. Un mondo dove si discuteva, si litigava, si compromettevano dei rapporti personali per l’analisi sulla realtà effettuale. Ma poi a fare la sintesi – leggasi dare la linea – erano in pochi. Nello specifico era il Segretario del partito coi suoi stretti collaboratori. Questo impianto fu teorizzato da Antonio Gramsci in persona quando vide nel partito il sostituto del Principe di machiavelliana memoria. Erano anni in cui la discussione era costante, frequente, praticata in modo assiduo e con lunghi discorsi e anche tanti voli pindarici.
Peccato che la democrazia non fosse di casa al pari di tanta energia propulsiva nel confronto.
Peccato anche che il libero pensiero fosse fortemente limitato perché se non si era della linea era come stare fuori. E ci furono epurazioni eccellenti nella storia di questo partito che ieri si è fuggevolmente ricordato.
La sua storia si è disciolta in un colpo, quando da un aeroporto il suo segretario, Achille Occhetto, disse che non aveva più senso chiamarsi così perché era caduto il Muro di Berlino quindi perdeva efficacia simbolica la contrapposizione tra blocchi. (Proprio quella che si sarebbe dovuto sempre evitare).
Ne seguirono due anni di discussioni laceranti. Ma la decisione era presa e così fu.
Lì è morta definitivamente l’icona di un solco storico. Quel che venne dopo con Rifondazione e simili erano altre vicende. Ma quel partito chiuse inconsapevolmente i battenti nel settembre del 1973 quando in un editoriale su Rinascita il segretario Enrico Berlinguer propose il “compromesso storico”, un’alleanza con la Democrazia cristiana, perché riteneva improbabile la contrapposizione con quel mondo che rappresentava comunque il popolo, il cristianesimo, la solidarietà e “l’antifascismo”. La nuova prospettiva nasceva dalla riflessione sul colpo di stato in Cile di Pinochet animato dai cattolici di quel paese e sostenuto dagli americani. In un paese satellite degli Stati Uniti non si poteva ancora giocare a dirsi comunisti.
Lì finì una storia che oggi deve essere consegnata solo agli storici. Le memorie con le nostalgie non possono avere cittadinanza tra i fatti dei nostri giorni. Tanto più perché fanno parte di un mondo che oramai è distante da noi e di cui non si riesce nemmeno a preservare una memoria onesta.