Mentana e il suo centro storico

Le origini, lo sviluppo e gli uomini che lo hanno abitato nell'articolo di Roberto Tomassini

di Roberto Tomassini

Scarsi sono a tutt’oggi, i dati archeologici sicuramente riferibili all’epoca del primitivo insediamento urbano di Mentana e anche le fonti sono carenti, tuttavia gli storici ritengono che il definitivo accentramento urbano attorno all’attuale borgo di Mentana, si verificò al tempo della invasione ad opera di Liutprando del Ducato Romano tra gli anni 726 e 731. Gli abitanti di Nomentum, invece di fortificare l’antico municipio, preferirono abbandonarlo per un luogo più difendibile, in posizione arretrata rispetto all’originario percorso della Via Nomentana. Il nuovo centro dovette ben presto divenire un luogo del potere poiché era il luogo dove risiedeva il Vescovo di Nomentum, l’unica autorità che potesse favorire il riassetto del territorio e promuovere un processo di sviluppo, grazie al quale Mentana poté recuperare la sua funzione civile e potenziare il suo ruolo come sede episcopale della sua piccola, ma importante diocesi. La ripresa dovette ovviamente caratterizzarsi anche per gli inevitabili interventi di edificazione e fortificazione che interessarono il nuovo villaggio ed è probabile che già in questo periodo esso assunse la forma di borgo o comunque di una residenza fortificata, in cui poteva rifugiarsi la popolazione in caso di un attacco, costituendo una fortezza naturale grazie ai fianchi ripidi della collina e ai dintorni paludosi fino a non molti anni fa.
Non sappiamo precisamente quando iniziò quest’ opera di fortificazione e non sappiamo neppure quali siano stati i tempi necessari all’edificazione del primo nucleo del nuovo borgo, ma non dovrebbero essere stati eccessivamente lunghi, dato che dopo solo 70 anni il nucleo cittadino esisteva di nuovo, perché qui avvenne il famoso incontro tra Carlo Magno e Papa Leone III. Il primo nucleo abitativo così costituito si dovette ampliare per iniziativa della potente famiglia dei Crescenzi a sostegno del proprio dominio sulle terre circostanti. I Crescenzi occupati nelle loro conquiste territoriali nel Patrimonum Sabinense sentirono l’esigenza di ampliare e fortificare anche il borgo di Mentana, ultimo baluardo a difesa della loro signoria nei confronti delle terre di Sabina, prossimo alla vista dell’Urbe.

Roberto Tomassini

Sullo scorcio del X secolo, alla tipologia originaria di insediamento che era stata tipica dell’alto medioevo, si sostituisce così il castrum che costituì la loro roccaforte in terra sabina, come appunto ricordato dagli storici. Inizialmente il castello di Mentana si doveva presentare, non diversamente da altri esempi documentati nella zona, come un vero e proprio villaggio fortificato dalla struttura ancora abbastanza primitiva: recintato da palizzate in legno e circondati da fossati e la comparsa delle mura di cinta, il ponte levatoio ed il cancello ad inferriate all’ingresso, fiancheggiato da torri; all’interno la struttura del castello divenne più complessa ed il signore spesso viveva proprio all’interno della grande torre centrale detta maschio. Interessanti spunti per lo studio urbanistico dell’evoluzione del Castrum Nomentano provengono da scavi occasionali intrapresi nell’area dell’odierna piazza Borghese, durante i lavori di ristrutturazione, eseguiti nel giugno 1995, nel corso dei quali sono venuti alla luce dei resti di epoca romana, testimonianza dell’esistenza di un nucleo insediativo prima della costituzione del borgo vero e proprio. Tale nucleo doveva corrispondere all’attuale posizione di Palazzo Borghese: di struttura romana sono infatti la cisterna situata sotto il cortile interno del palazzo.
A questa prima fase costruttiva, potrebbero appartenere alcuni grossi blocchi squadrati di tufo rossiccio, venuti in luce, sul lato nord della piazza. Probabilmente si tratta delle mura urbiche della rocca costituite da una doppia cortina prodotta da due distinti interventi costruttivi. È presumibile, perciò, che i Capocci, una volta insediati, si preoccupassero di rendere sempre più sicura la cinta muraria ed è evidente che essa doveva essere ben munita quando nel 1333, il Castello Nomentano fu coinvolto in azioni belliche, fra Giordano Orsini e Stefano Colonna. Sull’onda delle riconquiste e degli ingrandimenti territoriali si procede ad un ulteriore ampliamento della cinta muraria. Tale ampliamento, tutt’oggi visibile guardando Porta Crescenzi che doveva costituire l’ingresso principale del borgo: è il resto più cospicuo e meglio conservato della cinta muraria del castello di questo periodo. La Porta, si presenta come una torre portaia alla cui sommità c’erano le caditoie che si aprivano sui beccatelli e a loro volta reggevano i merloni. Oggi la cinta muraria dei Capocci, è in parte inglobata in altri edifici ma molti tratti sono ancora visibili dall’esterno e dall’interno del borgo, scanditi da una cornice marcapiano in travertino che ne ripartisce orizzontalmente l’altezza.
Ai lati dell’antica porta Crescenzi si può ancora vedere il con il cordolo marcapiano in travertino, a circa tre metri dal suolo, che divide in due la parete muraria costituita di conci tufacei. Da un lato il cordolo è coperto dal palazzo baronale, evidentemente sovrapposto alla precedente cinta muraria, ma ricompare sugli edifici dell’attuale piazza Borghese; ciò denunzia che quel tratto di mura era all’esterno della vecchia cinta; dall’altro lato della porta, invece, il cordolo si immette nel contesto di una civile abitazione, anch’essa addossata alle antiche mura tanto da avere come pareti le mura stesse, ed è ben visibile all’interno di una delle stanze. La struttura, venne lesionata prima da un terremoto (1484) ed in seguito, qualche anno più tardi, “decapitata”, vale a dire pressoché rasa al suolo dalle truppe di papa Innocenzo VIII, intervenute per sedare una rivolta dei cittadini Mentanesi.
Divenuto signore di Mentana, Camillo Orsini, esperto nell’arte della fortificazione, pose mano alla ricostruzione del castello. Purtroppo non ci sono pervenute fonti documentarie relative all’inizio e alle varie fasi di tali interventi, ma gli storici sono concordi nell’attribuire a Camillo la paternità delle opere di ampliamenti del borgo e la costruzione del palazzo. Dal suo testamento rogato nel dicembre 1552, sappiamo che in quell’anno il palazzo era ancora in costruzione, ma quando il 15 febbraio 1559 al testamento vi aggiunse un codicillo, il palazzo risulta ormai completato e viene dettagliatamente descritto in tutte le sue parti.
I lavori di rifortificazione nella realizzazione di una nuova e più ampia cinta muraria esterna, parallela e più ampia della prima. Agli spigoli e lungo il perimetro della cinta furono, poi, realizzate una serie di torri circolari casamattate e probabilmente, come hanno dimostratogli scavi eseguiti durante i lavori di ristrutturazione di Palazzo Crescenzio, dotate di un ampio fossato. Le torri, oltre al compito dell’offesa, avevano l’incarico della difesa radente dei tratti di mura e delle relative porte della città. Tra il XV e il XVI secolo gli Orsini dotarono il Castello di un nuovo e più comodo accesso, aprendo una nuova porta lungo le mura esterne, ricavandola da una torre quadrata, nota come porta San Nicola. L’aspetto del Palazzo nel quale s’insedia Michele Peretti, nell’atto del suo ingresso a Mentana nel 1595, è dunque quello voluto dall’ultimo dei precedenti feudatari, cui il Principe di Venafro fece eseguire lavori e ristrutturazioni per trasformare un castello feudale in una residenza di villeggiatura, in un “palazzo” degno di una dimora raffinata.
Superate ormai le esigenze difensive, il complesso si trasforma così in palazzo, con un secondo ingresso sulla piazza, attenuando le caratteristiche dell’originaria struttura fortificata. Simbolo del prestigio nobiliare della città, il palazzo signorile di Mentana, è l’espressione di un’eredità di potenza tradotta in un segno che è proprio del linguaggio dell’architettura del palazzo voluta dai Peretti: la facciata domina la scena paesana e la composizione planimetrica si affaccia sulla piazza ed anzi concorre a formare il perimetro della piazza stessa. Su tutto incombe l’imponente prospetto del palazzo baronale con la sua sontuosa balconata posta su maestosi mensoloni ed il suo grandioso portale d’ingresso preceduto da una scalinata. Il Principe fece realizzare il cortile e la loggia, nuovi appartamenti e cucine attrezzate per accogliere numerosi ospiti, dove si ritirava spesso per il riposo, dedicandosi alla caccia. Le stanze e la galleria furono decorate con pitture avvalendosi dell’opera di Marco Tullio Onofri, giovane pittore della bottega dei Caracci, attivo a Mentana tra il 1605 ed il 1606. Anche i Borghese, quando entrarono in possesso del Feudo di Mentana nel 1655, utilizzarono il palazzo come dimora temporanea e residenza di caccia. I lavori commissionati dal principe Borghese abbellirono il palazzo baronale di Mentana che in questo periodo fu particolarmente frequentato dalla famiglia nelle loro fughe da Roma, per lunghi periodi di riposo e di svago.
Fu certamente ristrutturato il grande salone d’onore con nuovi elementi decorativi e fu data una nuova distribuzione degli spazi, divisi da porte lignee raffinate e rivestite di stoffe particolarmente raffinate con damaschi, broccatelli e con corami in cui figuravano gli elementi araldici delle due nobili casate. Nel 1928 il Comune di Mentana, dopo varie trattative, acquistò il Palazzo baronale, ancora di proprietà di Santa e Livia Borghese, eredi di Scipione Borghese, per la somma di 50.000 lire da pagarsi ratealmente in cinque anni. Il definitivo trasloco della sede comunale avvenne però soltanto nel novembre 1955. Al primo piano vi furono sistemati gli uffici comunali, mentre il secondo piano fu destinato ad aule scolastiche. Nell’ottobre del 1959 furono eseguiti gli ultimi lavori di adattamento degli uffici comunali: in questa circostanza fu chiuso il loggiato del lato Nord del Palazzo.

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