“Le visite oncologiche devono riprendere ovunque e nei luoghi deputati”. Lo ha detto il Presidente della repubblica, Onorevole Sergio Mattarella, nella sede del Quirinale intervenendo alla cerimonia di celebrazione a cui è stato dato il titolo I Giorni della Ricerca. (L’iniziativa esiste grazie all’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro ed è stata celebrata oggi 19 novembre).
Ed è un’impostazione sulla quale nessuno avrebbe da obiettare. Tanto più quando, come viene detto in premessa, che va istituita un’alleanza tra ricerca e informazione divulgativa.
Sergio Mattarella non si riferisce solo a giornali e televisione ma anche a una capacità pervasiva nella comunicazione scientifica in grado di parlare nei luoghi dell’“anti-scienza” – come il Presidente ha definito l’informazione che fonda su suggestioni emozionali e convincimenti costruiti su leggende metropolitane. Queste erronee vulgate sarebbero la manifestazione di una nuova crisi della modernità.
L’argomento in sé è assolutamente condivisibile ma deve far riflettere la contro tendenza al criterio di conoscenza scientifica che ritenevamo irrefutabile dopo almeno quattro secoli dal processo intentato a Galileo dalla Santa Inquisizione.
Oggi sarebbe facile il riscontro sulla fiducia nei confronti delle acquisizioni della Medicina rispetto a poche decine di anni fa quando si affermarono i vaccini delle malattie che hanno cancellato quasi interamente malattie come la poliomielite, il vaiolo, la tubercolosi, tetano … E recentemente anche epatite.
Come è possibile negli ultimi anni un’involuzione nei confronti della vera prospettiva di cura? Cosa è successo nel sentimento comune di una parte della popolazione? Perché tanto scetticismo?
Le ragioni sono da assegnare a due ordini di motivi: 1) l’incapacità degli operatori della tecnologia scientifica di stabilire col paziente un rapporto di empatia che parte dall’ascolto per sostituirlo al rigore dei protocolli e al giudizio delle macchine, uniche vere responsabili della diagnosi; 2) il passaggio della Medicina dall’essere un insieme di metodologie scientifiche ad essere, invece, vicarie della tecnologia, il medico così si trova ad essere funzionario della tecnica che per lui decide.
Conseguentemente il declino fino all’annullamento di ogni specificità del malato che in una unità ospedaliera si sente sempre più rappresentate di un organo in cui è insita una problematica.
Ma il contrappasso di una disumanizzazione così potente della Medicina è avvenuto quando, chiaramente, l’intervento medico tecnologico non sempre è riuscito a risolvere la malattia nello specifico – L’irrigidimento in protocolli e la classificazione in procedure-tipo non necessariamente consegue la guarigione – Ed allora la fuga è in paradisi artificiali. I sogni visionari di altre medicine, a cominciare da imprecisati riferimenti orientaleggianti, hanno fatto leva, magari incoraggiati da fortunosi successi.
Davanti al delinearsi di queste nuove tendenze la capacità di ascolto e di ricezione della Medicina ufficiale, governata dal mondo della tecnica, ha reagito gridando all’anatema, chiedendo fossero messe all’indice certe false concezioni. Un irrigidimento che ha inasprito le differenze creando un solco che si è allargato davanti ad alcuni inevitabili insuccessi attribuiti alla scienza medica, ma che potevano essere addotti al corso delle cose della natura.
Ora c’è poco da condannare l’anti-scienza, tanto più quando i propalatori di visioni mistiche o metafisiche rappresentano una componente sempre maggiore della società. Il metodo deve riprendere l’esercizio dell’ascolto, insieme a una sorta di parlamentarizzazione delle problematiche. Ma non perché la cura adeguata si decida ai voti bensì perché quando si parla di malattia ogni voce esprime una visione rivelativa di qualcosa di nuovo e specifico. Ciascuno nella malattia è portatore di unicità, non sono inscrivibile semplicemente in classificazioni regolate da una metodica. La Medicina ufficiale questo lo sa benissimo. Ebbene, deve ricominciare a praticarlo.