Monterotondo – La sentenza sui rifiuti fa saltare il voto sul Bilancio

La notizia è arrivata venerdì 27 settembre nel tardo pomeriggio. E ha avuto l’effetto di un elefante lanciato a tutta velocità dentro un negozio di ceramiche.

Perché la bocciatura davanti al Consiglio di Stato del Comune di Monterotondo sul regolamento della Tia zona industriale – che obbligava le imprese a pagare una parte di tariffa molto consistente, ma non dovuta – costerà parecchio. Gli uffici dovranno ricalcolare tutto, ma una stima abbastanza attendibile potrebbe portare a cancellare, dai bilanci del Comune, centinaia di migliaia di euro.
E un primo effetto si è fatto già sentire: la seduta di Consiglio comunale fissata all’8 ottobre per l’approvazione del Bilancio preventivo 2013 è slittata. Ci vorranno almeno 10 giorni in più per riportare in Aula la Tares e la Tia “dimagrite” degli importi non dovuti.

E’ il risultato della sentenza del Consiglio di Stato del 26 settembre scorso, dopo la discussione in udienza del 2 luglio. Sul tavolo c’era il tentativo del Comune di Monterotondo di far annullare la precedente sentenza del Tar del Lazio del primo ottobre 2012, che aveva già dato ragione agli industriali riuniti intorno al Caimo.
Il gruppo di imprenditori – composto da Sarigo Srl, Elettroservice Spa, Amico Legno Srl, Punto Gomme Lazio Srl, Crm Costruzione Macchine Romane Srl, Team 95 Srl, D’Ascenzi Pavimenti Spa, Del Broccolo Snc – avevano chiesto e ottenuto dai giudici amministrativi l’annullamento delle delibere 28 e 29 del 9 giugno del 2011, ovvero il Regolamento per l’applicazione della tariffa per il servizio gestione rifiuti solidi e urbani e il relativo Piano finanziario. Erano state annullate anche la 507 del 22 novembre 2010 che modificava i criteri di assimilazione dei rifiuti speciali e tutta un’altra serie di documenti, tra cui il parare della Commissione bilancio del 14 aprile 2011.
In quella prima sentenza i giudici avevano accolto la tesi difensiva delle imprese, secondo la quale l’amministrazione di Monterotondo aveva messo sullo stesso piano i rifiuti prodotti dalle aziende con quelli normali. Avrebbe violato così una decreto legge del 2006, il 152, che invece li distingue.
Con alcuni effetti negativi per le imprese stesse, tra cui “la lievitazione del debito” dei consorziati del Caimo. Ma non solo. Secondo i giudici di primo grado l’amministrazione, con quel regolamento, aveva chiesto il pagamento della Tia “Non solo per le superfici produttive di rifiuti urbani ma, altresì, per tutte le superfici dove svolgono l’attività, in base ad una presunta applicabilità del regime di assimilabilità dei rifiuti anche ai rifiuti speciali, non assimilati agli urbani tossici o nocivi, prodotti da utenze non domestiche e smaltiti a spese dei produttori”.
I produttori, ovvero gli imprenditori, pagavano già per conto proprio lo smaltimento degli speciali a privati che se ne occupano. Secondo l’accusa del Caimo accolta dal Tar, questa scelta dell’amministrazione avrebbe portato ad una “Una duplicazione dei costi per lo smaltimento a carico delle imprese e a tale incremento della spesa non corrisponderebbe alcun servizio dell’amministrazione comunale che, lamentano, non provvede neanche alla raccolta dei rifiuti urbani”.
Il Caimo contestava quindi l’obbligo di versamento della Tia non solo rispetto alle superfici produttive di rifiuti urbani, ma a tutte le superfici dove si svolgono attività. Il Comune aveva impugnato la sentenza, ma non c’è stato niente da fare. Secondo il collegio di togati presieduto da Francesco Caringella, i primi giudici avevano ragione e quelle delibere andavano annullate.
“Non può che condividersi – scrivono quindi i giudici – il percorso del giudice di primo grado che correttamente distingue tra l’oggetto del potere discrezionale rimesso all’ente locale e l’ambito rimesso alla competenza statale, evidenziando, come già nella disciplina previgente al decreto legislativo 152 del 2006, fosse attribuita al Comune l’individuazione dei costi da coprire, la ripartizione tra utenza domestica e non domestica e la determinazione della misura della tariffa medesima”.
“Il legislatore nazionale non ha, invece, attribuito ai Comuni il potere di incidere sul presupposto per l’applicazione della tassa/tariffa o sui requisiti per la fruizione dell’esenzione stabilita dal legislatore nazionale”.
Per questo, adesso, gli uffici dovranno stornare dai calcoli della Tia tutti quei soldi che il Comune aveva stimato di incassare dalle strutture produttive della zona industriale, limitandole ai soli uffici.

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