La lunga strada per formare il nuovo Governo

Questo è quanto uscito dalle urne, ma chi governerà davvero l’Italia oggi e nei prossimi anni?
Certo Salvini non vorrà lasciare Palazzo Chigi a Di Maio e neppure è pensabile che i due lascino la leadership ad un terzo che garantisca entrambe le formazioni e realizzi le promesse populiste: in primo luogo reddito di cittadinanza e rimpatrio dei migranti. E’ facile in campagna elettorale fare promesse e gridare contro i vecchi partiti e i loro sistemi e mentalità ma una volta eletti è molto difficile rinunciare al proprio potere per il bene del popolo.  Anzi una volta al governo pei i partiti populisti è facile fare peggio dei vecchi partiti, come succede nelle città governate dai 5 stelle e prima su tutte Roma.
A togliere le castagne dal fuoco ai partiti populisti non ci sarà il PD di Michele Emiliano che al primo impatto aveva suggerito al suo partito di fare la stampella, l’appoggio esterno ad un governo 5 stelle. La via più breve per disgregare e distruggere definitivamente il Partito Democratico.  
Formare un governo da queste elezioni sarà un percorso lungo, e molto difficile. Potremmo arrivare all’estate prima che si trovi una soluzione. Se il Pd non farà alleanze, non rimane che il ‘governo di tutti’ con una figura di alto profilo e competenza a guidarlo, una figura capace di raccogliere la fiducia di tutti nuovi e vecchi partiti.
Un ‘governo di tutti’ che con molta probabilità non sarà il Presidente Mattarella a proporre, ma a differenza di Napolitano, aspetterà siano i partiti a presentare, con precise caratteristiche e obiettivi. In questo caso non potrà che essere un ‘governo di tutti’ per approvare una nuova legge elettorale che garantisca un vincitore e tornare alle urne.
I tempi? Lunghi, molto lunghi. Non dimentichiamo che per approvare il Rosatellum, la legge con la quale siamo andati a queste elezioni i partiti, compreso il 5 stelle, hanno impiegato anni. Quindi dovrà passare parecchio prima che qualcuno rimetta mano alle grandi questioni: l’economia, la disoccupazione, l’emigrazione, i costi dello Stato e della politica, il debito pubblico.  
D’altra parte i cittadini hanno votato Di Maio e Salvini, leaders di formazioni populiste, in risposta al fatto che i vecchi partiti in crisi nel nostro Paese dai tempi di tangentopoli, quindi ormai da trent’anni, hanno continuato a fare le scelte sbagliate, a tradire le promesse fatte, elezione dopo elezione.
Hanno continuato a fare errori, a rinviare le riforme strutturali necessarie a modernizzare il Paese. Non sono stati in grado di dare risposte sufficientemente adeguate ai problemi posti dalla globalizzazione, che ha causato impoverimento e sofferenza.
Non hanno saputo dare risposta alla crisi economica, alla perdita dei posti di lavoro, all’indebolimento del sistema di welfare, al contenimento dell’immigrazione clandestina. Nei Paesi come la Germania dove la classe dirigente e i partiti sono riusciti a dare risposte sufficienti, la presenza dei partiti populisti c’è, ma è molto limitata.
In particolare il contrasto all’immigrazione, e lo si è visto nel Brexit, e anche nelle elezioni americane, riveste un ruolo fondamentale nell’ascesa dei populismi. Questi ultimi, sfruttano appieno il desiderio di difendere contemporaneamente il proprio ‘livello’ di vita e il proprio ‘modo’ di vita contro l’invasione’ di soggetti stranieri portatori di altre culture e concorrenti sul mercato del lavoro.
I partiti populisti esistono perché quelli tradizionali hanno fallito, e non necessariamente l’essere contro il ‘sistema’ significa essere contro le istituzioni democratiche. In questo senso potrebbero funzionare come un correttivo spingendo i partiti tradizionali a riconsiderare le proprie posizioni e ad interrogarsi su come riconquistare la fiducia dei cittadini.
Naturalmente questo non significa rincorrere i populisti sul loro terreno, ma piuttosto formulare risposte basate sulla propria ideologia di riferimento. Uno degli errori del Pd in questa campagna elettorale è stato quello di limitarsi ad un programma di poche cose concrete da poter realizzare certamente, ma senza dare un respiro più ampio, prospettive ambiziose e magari entusiasmanti, seppure concrete.
In particolare il Pd dovrebbe certo riflettere sugli errori ma non più di tanto. Dovrebbe piuttosto agire subito e molto, per recuperare il radicamento nella società e la capacità di mobilitare il proprio elettorato storico, così come la capacità di attrarre nuovi elettori. Il Pd ha cercato di governare bene, meritando in molti casi l’apprezzamento di diversi osservatori ma non ha saputo ascoltare a sufficienza. Sicuro di fare la cosa giusta per il Paese è andato avanti come un treno, finendo col sembrare incurante del dolore che sta dentro a ogni cambiamento. Così è stato severamente bocciato dall’elettorato. Non ha ascoltato la gente e non ha lavorato sul partito delle periferie e del sud dove arrivava poco o niente del nuovo che si prometteva dal centro.
A punire il Pd c’è anche il fatto di non aver formato una classe dirigente nuova più aperta e inclusiva, non avere intercettato molte competenze che non chiedevano altro che di mettersi al servizio del Paese.
Infine l’ultima inspiegabile divisione del partito, dove l’umiliazione subita da Massimo D’Alema e dai suoi, certo non cancella l’amarezza. Ma bisogna riconoscere al Partito Democratico che malgrado tutti i suoi errori anche storici, e qualche ‘tradimento, non ha ceduto alle promesse facili e sbagliate.  Ha continuato a tenere un profilo riformista in un epoca di populismi; ha continuato a sostenere l’Europa, i diritti civili, le vite umane nel Mediterraneo ed anche una certa correttezza politica. Anche una certa correttezza politica. A Forza Italia invece, l’alleanza con la Lega non è stata certo conveniente: ha perso parecchi voti a favore di Salvini.
Al Pd l’opposizione conviene. Avrà molto da lavorare per irrobustire il Partito per rinnovarlo profondamente, ricompattarlo e per tornare a costruire un rapporto di fiducia con l’Italia.
Il populismo nel nostro Paese dunque, ha tutte le carte in regola per lasciare un’impronta duratura. E le ha, a maggior ragione, se le condizioni di base rimangono invariate.
Ma soprattutto, anche le forze populiste, quelle che rimangono nell’alveo democratico, e speriamo che 5stelle e Lega lo siano, devono sottostare a una legge basilare della politica: quella per cui se non riesci a mantenere le promesse e cambiare davvero le cose, allora ne pagherai le conseguenze e, per usare un’espressione cara ai populisti italiani, prima o poi tornerai a casa.

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(Ro.Te.)

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