Nella recente miniserie di Sky “Speravo de morì prima”, basata sugli ultimi anni di carriera di Francesco Totti, è stato un giornalista che intervistava l’allenatore Spalletti, interpretato da Gianmarco Tognazzi. Ma le ultimissime scene le ha girate per due film che vantano entrambi un cast di primissimo ordine. E’ infatti una delle comparse in “House of Gucci”, diretto da Ridley Scott e con protagonisti Adam Driver e Lady Gaga nei panni di Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani: uscirà a novembre negli Stati Uniti per la Metro Goldwin Mayer.
A Natale sarà invece sugli schermi italiani “Chi ha incastrato Babbo Natale?” di e con Alessandro Siani: e stavolta si è trattato di una figurazione speciale con tanto di battuta insieme al co-protagonista Christian De Sica. “Sono un po’ restio a parlarne” ci dice Pierluigi Telese, in un misto di scaramanzia e modestia “Magari potrebbe succedere che in fase di montaggio le mie pose vengano tagliate: a volte capita, per rispettare scrupolosamente la durata del film”. Ovviamente ci auguriamo che ciò non avvenga e così a fine anno saremo tutti di nuovo spettatori nei cinema, finalmente riaperti dopo questo lungo periodo di pandemia.
Abbiamo incontrato Pierluigi Telese, 56 anni ottimamente portati, romano di nascita ma da sempre cittadino di Fonte Nuova, fin da quando la frazione di Torlupara era divisa fra i tre comuni di Mentana, Guidonia e Roma e da un marciapiede all’altro della via Nomentana cambiava il prefisso telefonico. Il suo lavoro principale è quello di assistente al laboratorio di fisica del Liceo Scientifico Peano di Monterotondo ma da oltre trent’anni frequenta abitualmente il mondo del cinema, del teatro e delle fiction televisive.
Come hai scoperto la tua passione per il mondo del cinema?
“E’ nato tutto per caso, grazie al mio grandissimo amico Antonio Spinnato, attore caratterista presente in centinaia di pellicole e che ci ha lasciato troppo presto nel 2009: a lui e alla sua fraterna amicizia sarò eternamente riconoscente. Nei primi tempi ero un semplice figurante; a metà degli anni novanta ho intrapreso la professione di preparatore di scene in “Belle al bar” per la regia di Alessandro Benvenuti e di attrezzista-preparatore nei film di Ricky Tognazzi e Simona Izzo “Maniaci sentimentali” e “Vite strozzate”. Queste esperienze si sono rivelate fondamentali per la mia successiva carriera nel mondo del cinema: lavorando dietro le quinte ho avuto modo di conoscere e apprezzare molti dei trucchi del mestiere direttamente dagli attori professionisti e questa è stata la mia vera scuola di recitazione”. Poi però è arrivata la chiamata per la supplenza annuale a scuola. “Infatti ho smesso di fare l’attrezzista ma ho voluto rimanere nell’ambiente del cinema e quindi ho continuato a fare delle figurazioni e ho avuto anche la soddisfazione di recitare in due ruoli veri e propri. Sono stato l’agente Telese nella serie “Il commissario” con Massimo Dapporto, diretta da Alessandro Capone, a cui va tutta la mia stima e gratitudine poiché è stato il primo regista ad aver creduto in me, dandomi fiducia e assegnandomi una parte importante nella fiction. E poi la straordinaria esperienza ne “Il maresciallo Rocca 5”, con protagonista il grande Gigi Proietti e regista il bravissimo Giorgio Capitani. Anche in quelle occasioni ero andato sul set per fare la comparsa, mi chiesero poi di dire alcune battute che evidentemente piacquero e da lì nacque il personaggio dell’appuntato Di Bitonto. Fu lo stesso Proietti a sceglierlo ”Vorrei usare un cognome che faccia sorridere i telespettatori, ti dispiace se ti chiamiamo Di Bitonto?” mi disse prima delle riprese. Figuriamoci se mi dispiaceva, ero felicissimo e orgoglioso di interpretare quel ruolo.”
Come riesci a conciliare i due impegni, la scuola e il cinema?
“Lavorare a scuola è molto gratificante: il rapporto quotidiano coi ragazzi, pur se faticoso, aiuta a mantenersi giovani, nella mente e nel corpo. Mi trovo bene anche coi colleghi, coi professori e con la preside, Roberta Moncado: è lei, come dirigente, che annualmente concede il permesso di poter svolgere un’attività extra-scolastica, e ovviamente lo concede solo se ciò non comporta problemi al funzionamento complessivo dell’istituto. Ho sempre vissuto un clima di collaborazione anche nelle scuole dove ho lavorato in precedenza. La cosa più importante è non creare disservizi e quindi, venendo a scuola tutti i giorni, vado sul set quando sono libero da impegni scolastici: nei giorni di ferie, nei pomeriggi e nei weekend, a volte la notte. Capita pure di dover rinunciare a qualche partecipazione che richiederebbe una presenza più continuativa”.
Mi accennavi di un’esperienza durissima sul set di Ben Hur, il remake del famoso film storico. “Era l’estate del 2016 e le riprese delle scene in costume da gladiatore durarono otto giorni: mi alzavo alle due di notte per arrivare all’Eur da dove un pullman ci portava poi agli studi di Cinecittà 2, sulla Pontina. Lì eravamo cinquecento comparse e ci vestivano coi vari costumi di scena: alcuni da senatori, altri da gladiatori, molti da semplici popolani. A me toccava la parte del centurione e dovevo indossare una struttura micidiale che stringeva le spalle e le scapole in una morsa durissima. Tutto il giorno bardato in questo modo, poi la sera di nuovo in una fila di cinquecento persone per spogliarci e rientro a casa verso le dieci di sera. Rapida doccia, pasto leggerissimo, tre ore di sonno e alle due di nuovo in piedi per affrontare un’altra giornata da legionario imperiale. Ma le esperienze toste, al limite della sopportazione, sono state numerose: mi ricordo alcune scene girate sulla Tiberina, in pieno inverno, e io, sempre vestito da centurione romano, praticamente seminudo che tremavo e battevo i denti in mezzo alle raffiche di tramontana. Così pure può capitare di girare, in estate e con quaranta gradi, con cappotti e parrucche dei film in costume del Settecento”.
Insomma il cinema spesso richiede un grande impegno fisico, oltre che le immancabili doti artistiche. “Il lavoro nel cinema può sembrare frivolo ma in realtà è molto serio, duro, richiede grande professionalità anche da parte dei figuranti, non solo degli attori protagonisti. E’ necessaria la puntualità e la piena disponibilità sul set quando si deve entrare in scena. Chi pensa di venire a fare qualche giornata come comparsa considerandola quasi una passeggiata refrigerante compie un grave errore e spesso molla non appena si rende conto della fatica che comporta lavorare dodici ore di continuo, spesso nelle condizioni che ho descritto prima”.
C’è qualche attore o regista dal carattere un po’ burbero o severo?
“Fortunatamente mi sono sempre trovato a mio agio durante le riprese. Dapporto e Proietti in particolare hanno dimostrato di avere delle eccezionali doti umane, così come i registi Capone e Capitani, persone ricchissime culturalmente e professionalmente ma capaci di interagire con tutti con grande umiltà. C’è da dire che può essere invece diversa la modalità di recitazione richiesta. Ci sono infatti attori che prediligono recitare a “braccio” e altri che invece pretendono le battute espressamente da copione. In tal caso è più complicato perché memorizzare una battuta in poche ore non è per niente facile e la concentrazione che ci vuole cancella un po’ la naturalezza della scena. Ecco, recitare a copione è molto più facile a teatro, dove si hanno mesi a disposizione per studiare e fare le prove”.
E infatti hai recitato anche a teatro. “Ho recitato in una decina di spettacoli teatrali, alcuni dei quali con la compagnia “I Mattattori di Fonte Nuova”, in cartellone commedie di genere brillante. Cito i due titoli a cui sono più legato: il primo è “Poco nobile…molto ignobile” ambientato nell’Inghilterra di inizio 1900 e che annoverava fra gli artisti anche Cristiana Ciacci, la figlia dell’indimenticabile Little Tony e l’altro è “La cena dei cretini” capolavoro di Francis Veber che si svolge nella Parigi bene, dove ogni mercoledì, un gruppo di amici stanchi ed annoiati, organizza una cena speciale a cui vengono invitati personaggi ritenuti stupidi per riderne e farne beffa per tutta la serata, ma che riserva un finale dai risvolti imprevedibili e inaspettati. A questo spettacolo sono particolarmente legato poiché mi è valso la nomination al Premio Colosseo come miglior attore protagonista, e in quella occasione sul palco c’era Carlo Verdone ad assegnare il riconoscimento. E il primo premio lo ebbi invece nella rassegna teatrale “Al di là del Raccordo” e lo ricordo ancora con immenso piacere”.
La passione per il cinema e il teatro ha contagiato qualcun altro in famiglia?
“Le mie due figlie hanno recitato entrambe in alcuni ruoli. La grande Ludovica ha venticinque anni e più o meno regolarmente fa qualche “comparsata”: ricordo con piacere il suo esordio, allora tredicenne, nello spot della Coca Cola con Giuseppe Tornatore alla regia. La minore Lavinia, ventenne, probabilmente è più interessata della sorella maggiore nel seguire e migliorare le orme paterne: ad appena cinque anni fece parte del coro di bambini che cantava nella “Recita di Natale” della Bauli, poi ha continuato con svariate figurazioni e ha frequentato per alcuni anni la suola di recitazione “Avamposti Umani” a Monterotondo, fondata e diretta da Giselda Volodi (pseudonimo di Giselda Mazzantini, sorella maggiore della scrittrice Margaret Mazzantini; n.d.r.), grande attrice e ottima insegnante che ha molto aiutato mia figlia soprattutto nel riuscire a sbloccare la timidezza. Quest’anno Lavinia ha sospeso le lezioni poiché impegnata con la maturità ma sono certo che riprenderà quanto prima.
Un’ultima domanda: hai 56 anni, anche se non li dimostri affatto, e un bel po’ di anni di anzianità contributiva. Non ti sfiora mai l’idea della pensione?
“Beh, a dire il vero ogni tanto ci penso. Ma mi è stato detto che devo comunque aspettare almeno fino a 62 anni, anche se a quell’epoca di contributi ne avrò versati un’infinità. Ma l’ho già detto: il contatto con gli alunni del Peano mi mantiene giovane e perciò finché si è giovani meglio impegnarsi ancora al massimo e rinviare il pensionamento a data da destinarsi”.