È l’unico modo per placare il potere di veto di Roma con la sua mira di risolvere i problemi fuori dal raccordo anulare
La Regione si prende 60 giorni per decidere come gestire la mondezza. Quali impianti, dove e soprattutto come. Dopo che il Tar ha dato ragione a Virginia, la questione si fa schiacciante negli uffici di via Cristoforo Colombo. Pare proprio che riscrivere un piano sia un compito più grande di loro. Dovranno farsi aiutare, come sempre, da Cerroni? Il suo placet dovrebbe dare il via effettiva possibilità di realizzare un piano? Stavolta però ci sarà bisogno di una concertazione con la cosiddetta Roma Capitale, altrimenti è chiaro non si vada da nessuna parte.
La delibera approvata dalla giunta regionale il 28 maggio si impegna a trovare una soluzione condivisibile con la letteratura del Tar dicendo chiaramente di quale piano impiantistico si dispone. La grande direttiva strategica è quella che si ripete da trenta anni, voluta fin dalle origini dal Decreto Ronchi, deve guardare all’autosufficienza dei territori: ciascun territorio deve gestire entro la propria area il trattamento, la trasferenza e lo smaltimento dei rifiuti.
La posta in gioco è il commissariamento di Roma Capitale. Sì perché se non scelgono gli eletti qualcuno deve scegliere. L’arrivo di un commissario sarebbe una sconfessione importante per tutta la politica e vedersi tolto dalle mani un giocattolo di potere molto forte.
Ma il nodo del contendere resta sempre lo stesso. La Regione Lazio vuole che Roma Capitale decida uno o più siti nel territorio della Città Metropolitana di Roma e lì fare quegli impianti di smaltimento che non vuole nessuno. Superati i sessanta giorni si va ad esercitare il potere sostitutivo. Ed è probabilmente qui che cui vuole arrivare Nicola Zingaretti.