L’accordo ha importanza epocale. Costituisce l’ultimo tentativo dei governi nazionali di porre una regola al turno capitalismo di terza generazione
Le categorie impresse nell’accordo del G20 prevedono che le aziende con introiti superiori ai venti miliardi possano essere tassate anche nei Paesi dove avvengono i consumi. Ma il paese che ospita il quartier generale delle multinazionali potranno imporre una tassa minima di almeno il 15% in ciascuna delle nazioni in cui operano.
Su volere degli Stati Uniti però scompare la digital tax europea che colpisce le grandi aziende che si muovono per l’altro profilo di evoluzione tecnologica. Qualora la tassa globale sia applicata nei prossimi due anni i paesi europei offriranno alle aziende un credito fiscale e saranno rimborsate le somme versate in eccesso rispetto all’imposta globale.
Una volta approvata in ogni singolo paese, il contenuto della minimum tax dovrà diventare operativo entro il 2023. Di là da venire, però, il meccanismo credibile di soluzione delle dispute a livello internazionale. Il vertice di Roma porta a termine anni di trattative in cui specialmente i colossi del web hanno potuto crescere a dispetto dell’erario dei singoli paesi dove avevano sedi. Nel G20 stavolta una data è stata tracciata ed è quella del 2023. L’aliquota minima sarà del 15% sugli utili delle multinazionali. Si vuole così evitare la ricerca di paradisi fiscali: se tutto il mondo è paese per pagare le tasse per queste grandi società non ha senso trasmigrare in un paese per trovare un fisco più clemente.
Si prevede così l’attribuzione di 125 miliardi realizzati da cento imprese multinazionali. Su questa stima gli Stati Uniti prevedono che si realizzeranno sessanta miliardi di introiti ogni anno.