Morire per niente.
Accade a Tivoli, città dell’Arte e della Cultura, dove ha perso la vita Alessandro Castellaccio, 40 anni, per gli amici “Sceriffo”, massacrato a calci e pugni da un gruppo di romeni in una tranquilla domenica di giugno nel Centro storico della Città.
Città dove è nata e vive Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, Psichiatra, giornalista, scrittrice, docente aggregato all’Università “La Sapienza” di Roma dove tiene gli insegnamenti di Psichiatria, Psicoterapia, Storia della Psichiatria e Riabilitazione psichiatrica.
Responsabile del Day Hospital psichiatrico del Policlinico Umberto I, vicepresidente della Sezione Arte Cinema Spettacolo e Mass media in Psichiatria della Società Italiana di Psichiatria, Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari per il quotidiano on line Tiburno.Tv un’analisi psicologico-sociale della violenza anche recente.
“L’osservazione di una escalation di violenza appare purtroppo incontrovertibile nella nostra città e non solo.
Assistiamo a una certa impotenza personale e istituzionale, e a diffusa paura. In un momento storico di cambiamenti esponenziali, lacerato da tante problematiche economiche e spirituali, segnato da fatti che pietrificano, condannabili severamente, che lasciano madri in lutti inaffrontabili, popolazioni attonite.
Circolazioni complesse di sofferenze e insofferenze che esplodono a volte in maniera brutale, esprimendo quel polo del doppio movimento ancestrale della natura umana ambitendente raccontata da sempre e da tutti, storici, antropologi, psicologi: uno è verso la pace, l’altro verso la guerra: anche simbolica, relazionale, metropolitana e conflittuale interiore, in un coacervo di ragioni bio-psicologico-sociali.
Gli scritti cardinali sul tema restano quelli di Freud.
Pessimista sulla natura umana, “in base a quanto la psicoanalisi ci ha insegnato sulla natura e il comportamento degli uomini”. L’aggressività “è un istinto”, sostiene Freud.
Riposa sulla Pulsione di morte. Quindi “biologicamente è assai poco eliminabile”.
Può essere solo modulata dai meccanismi maturi come la sublimazione, l’umorismo, l’altruismo. Freud si espresse in merito dal 1915 durante la prima guerra mondiale. I suoi scritti si raccolgono nel volumetto “Perché la guerra?” dove appare anche il carteggio con Einstein che era più aperto a possibilità di evoluzione positiva soprattutto attraverso valide istituzioni politiche.
Sostanzialmente Freud sottolinea l’inestirpabilità degli impulsi aggressivi, selvaggi e malvagi, il “riapparire dell’uomo primitivo” in circostanze favorenti, in qualche modo assimilabili all’Ombra junghiana, al Male di agostiniana memoria, in proporzioni che dipendono da un organizzazione costituzionale e dagli stimoli ambientali forniti dalla madre e da tutte le altre figure e contesti significativi, compreso il mithos familiare degli estinti e delle tradizioni..
Dimostrando che l’intelligenza non solo non riesce a contrastarli, ma addirittura si discute (ancor oggi) se alcune sue produzioni, quali cultura e ricchezza, non li alimentino, accendendo avidità, invidia, rabbia, emulazione, frustrazione, distruttività.
L’immigrazione è uno dei problemi cogenti anche in questo senso. La società multietnica reca in sé dinamiche di faticosa soluzione ad ogni livello.
Fenomeno complesso al quale non si può rispondere con romantiche facilonerie.
Vedi il soggetto integrato, vedi quello acquiescente, vedi soggetti fragili o già precedentemente patologici, caratteriali che esplodono, in un vissuto di emarginazione, destabilizzazione dell’identità e senso di misconoscimento.
Ciò che ingenera varie gradazioni di malessere e danno, oppressione, disturbi dell’adattamento, depressione per la somma delle perdite, e altre patologie, etilismo e altre dipendenze, o eventuali reazioni transitorie (per esempio la psicosi etnica di Devereux, legata ai tumultuosi cambiamenti), aggressività, ferocia, criminalità a seconda del fondamento della personalità preesistente e di tante ragioni sociali e culturali.
L’interrogativo era già posto nell’Illuminismo, su quanto una società può accogliere il nuovo senza disintegrarsi, introducendo il concetto di tolleranza (Milton, Voltaire, Locke) in vista di un cammino lento e difficile di un mutuo arricchimento, in Interpersonalità (Callieri) e reciproca gratitudine.
La strada è quella di puntare, nella dimostrazione del potere imitativo sulla nostra natura, anche secondo la teorizzazione dei neuroni-specchio, su un penetrante martellante influenzamento tramite sistemi divulgativi di Pace.
Così era per esempio il Modulo di Educazione alla Pace diretto dalla nostra concittadina professoressa Mara Luisa Angrisani nella Facoltà di Lettere della Sapienza Università di Roma, nel quale mi onoravo di collaborare nello scambio culturale interfacoltà.
Come un “compito della vita”, presupponendo L’Uomo animale sociale.
Si considerano infatti le possibilità naturali e culturalmente educabili, a partire da famiglia scuola e ogni altra realtà, verso l’espressione della nostra più piena humanitas immanente alla condizione, appunto, “cosiddetta umana”, con attribuzione di valore elevato alla parola stessa ricordandola come ideale collettivo: educazione all’equilibrio tra la parte autoaffermativa e il sentimento comunitario propugnato da Alfred Adler.
Questo autore lo considerava una qualità primaria della psiche, ed era convinto di come l’incrementare incessantemente un sentimento comunitario smisurato fosse l’idea-guida per arginare, se non abolire, le conseguenze di tutto il negativo sopracitato.
Sentimento comunitario che è bisogno primario, sistema motivazionale organizzatore di comportamenti ed eventi mentali, educabile sistema di vita, basato sul rafforzamento del realismo, del rispetto e della responsabilità per la eliminazione dell’odio esplicitamente o latentemente serpeggiante tra gli uomini”.