Si ubriaca, dà in escandescenza, minaccia i familiari e infine sferra un calcio al petto di un carabiniere facendolo ruzzolare per le scale.
Per quell’episodio avvenuto 7 anni fa è stato graziato dalla giustizia penale per insufficienza di prove, ma non da quella amministrativa che gli ha revocato il porto d’armi.
La storia emerge dalla sentenza numero 9237 – CLICCA E LEGGI LA SENTENZA - pubblicata oggi, mercoledì 14 maggio, dal Tar del Lazio. Il protagonista è un uomo di Tivoli appassionato cacciatore che si è visto respingere il ricorso finalizzato all’annullamento del decreto del Questore di Roma con cui è stata respinta l’istanza di rilascio dell’autorizzazione del porto di fucile per uso sportivo che l’uomo aveva fin dal 2016 e che gli era stata revocata due anni più tardi.
Il motivo?
Nel 2018 il cacciatore fu arrestato dai carabinieri per resistenza e lesioni personali aggravate a un pubblico ufficiale a seguito dell’intervento delle forze dell’ordine presso la sua abitazione.
Dalle carte processuali emerge che all’epoca i familiari richiesero l’intervento del 112 in quanto l’uomo era in forte stato di agitazione e li minacciava a causa di una eccessiva assunzione di alcolici.
Pare che il cacciatore abbia schiaffeggiato la madre anche alla presenza dei militari intervenuti, e sferrò un forte calcio al petto a un carabiniere facendolo cadere e cagionandogli delle lesioni.
L’uomo si è difeso fornendo due diverse versione: una volta ha detto che credeva fosse il cognato, mentre in altra occasione ha dichiarato che temeva potessero essere dei ladri o comunque malintenzionati.
Fatto sta che nel 2019 il Tribunale di Tivoli lo ha assolto sia dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale perché il fatto non costituisce reato sia dall’accusa di lesioni personali aggravate, per la mancata querela della parte offesa da cui dipende la necessaria condizione di procedibilità.
A fronte dell’assoluzione in sede penale, l’appassionato di caccia ha pensato di poter ottenere di nuovo il porto d’armi.
Ma ha pensato male.
Il Tar ha infatti condiviso le ragioni della Questura di Roma che glielo ha negato.
Secondo i giudici amministrativi, è manifesto che il cacciatore nel 2018 abbia avuto un comportamento violento e aggressivo, che ha generato timore e preoccupazione nei suoi familiari, altrimenti non avrebbero chiamato i carabinieri.
Nella sentenza penale – è il ragionamento dei giudici del Tar – l’uomo è stato assolto dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale ma è rimasto irrisolto il dubbio riguardo alla consapevolezza da parte sua che stesse colpendo il carabiniere.
Consapevole o meno, è oggettivo il comportamento aggressivo, proprio perché il Carabiniere (o chiunque lui credeva potesse essere) non aveva un comportamento aggressivo e lo stava chiamando per nome.
“Tutti questi elementi – sentenzia il Tar – giustificano ampiamente le valutazioni compiute dall’Amministrazione in ordine alla non piena affidabilità del ricorrente, avendo comunque manifestato un comportamento in grado di suscitare fondati dubbi sulla possibilità di abuso delle armi.
Come noto, infatti, per il conseguimento e quindi per il mantenimento della titolarità della licenza per porto d’armi, occorre una valutazione dell’Amministrazione particolarmente attenta e prudente, finalizzata a salvaguardare le preminenti esigenze di tutela della sicurezza pubblica e del vivere civile e ciò giustifica l’adozione di provvedimenti interdittivi nei confronti di soggetti nella cui condotta sono ravvisabili – secondo la discrezionale e non irragionevole valutazione dell’autorità competente – elementi comunque sintomatici della possibilità di abuso delle armi, inteso in senso lato (Tar Ancona sentenza 323 del 2022)”.
Oggi il Tar ha condannato il cacciatore violento a pagare 2 mila euro per le spese del giudizio oltre accessori come per legge.