Oltre al suo compleanno, Marilena Probesi celebra la “seconda nascita”. Due anni fa un trapianto di rene le ha salvato la vita e lo scorso 24 ottobre, ha spento la seconda candelina di questa nuova vita. Una vita donata dalla zia Flavia Traini che vuole ringraziare e che considera un vero e proprio angelo. Tant’è che per il primo anniversario le ha regalato un angelo fatto di Swarovski.
Marilena ha 44 anni e abita insieme al padre Mario e alla madre Valeria in via Dante Alighieri. È una stradina chiusa all’inizio di Tor Lupara, praticamente di lato al Nomentana Hospital. Qui abitano molti dei suoi parenti, i Traini di mamma Valeria, tra cui la zia donatrice. Sono cresciuti tutti insieme un po’ come funzionava per le vecchie famiglie di Tor Lupara e proprio questo spirito di unità è stato uno dei fattori che ha spinto la zia ad aiutare la nipote.
Ha poi un fratello più piccolo di due anni di nome Tiziano che ha tre figli.
Marilena, quando sono iniziati i tuoi problemi di salute?
All’età di dieci anni ho scoperto di avere il diabete di tipo 1, non alimentare. Ho dovuto togliere merendine, zuccheri e cioccolate, ma posso dire di aver svolto una vita normale fino a sei anni fa.
Ho studiato la scuola di moda a Montesacro. Era la mia più grande passione ed ero brava a disegnare. Ora ho smesso. Comunque ho lavorato per un periodo presso una serigrafia che faceva stampe su magliette. Le preparavamo con il computer e dovevamo ricamarle sulle maglie. Lavoravo con i fili e i colori, mi piaceva tanto, ma poi ha chiuso. Mi sono arrangiata sempre anche facendo la commessa e la baby sitter.
Poi sei anni fa ho scoperto di avere una malattia allo stomaco dovuta sempre al diabete: la gastroparesi che mi faceva vomitare spesso e avere sempre nausee. Era un continuo, anche per quindici giorni di seguito. Mi hanno ricoverato parecchie volte al Gemelli, capitava anche che tornavo a casa la mattina e il pomeriggio mi dovevano riportare. Qui, però, non mi hanno fatto particolari controlli, perché secondo loro era anche un fattore psicologico e quindi non hanno approfondito ad esempio i valori della creatinina alta.
Poi cos’è successo?
Tre anni fa i reni sono andati in stepsi, si sono bloccati e sono stata in coma tre giorni sempre al Gemelli. Quando mi hanno portata in rianimazione hanno detto ai miei parenti che forse non avrei passato la nottata. Mi sono stati tutti vicini. In particolare c’era mia zia Flavia che a forza di fare turni di giorno e di notte, si è anche addormentata al volante ed è finita contro un muro distruggendo la macchina. C’era poi mia cognata Valentina Merino, la compagna di mio fratello Tiziano, anche lui sempre presente. A mia madre non hanno detto niente, perché era già troppo preoccupata e non poteva sostenere una situazione del genere.
In quell’occasione il medico che mi ha perso in cura ha detto che gli sembrava assurdo che dopo tutti questi ricoveri non fosse stata approfondita la situazione dei reni.
Come è cambiata la tua vita?
Ho iniziato a fare la dialisi al Nomentana Hospital. Due mesi d’inferno che non auguro a nessuno. Mi sentivo morire. La mattina andavo a fare la dialisi, poi il pomeriggio tornavo a casa.
A quel punto o ti rassegni alla dialisi a vita, oppure inizi a informarti per il trapianto. E tu hai seguito questa seconda strada…
Sì, dal Nomentana Hospital mi hanno suggerito di rivolgermi al Policlinico e sono entrata in contatto con un aiuto primario. Ho fatto un colloquio con lui e approfondito la mia situazione.
Mi ha detto che in parte i problemi potevano dipendere stomaco, ma il problema principale era che i reni non smaltivano le tossine ed è per questo motivo che vomitavo sempre. In pratica avevo il “sangue sporco”.
Una piccola funzionalità ce l’avevo ancora, perché al bagno ci andavo, ma poi si bloccavano.
Comunque ho realizzato che avevo bisogno di un rene nuovo e quindi che necessitavo di un trapianto, anche perché l’idea di fare dialisi a vita a quarant’anni non la volevo nemmeno considerare.
Come funziona questa procedura?
Se non gli porti un donatore ti mettono in lista, ma nessuno si azzarda a fare una previsione sui tempi. Quando ne hanno uno disponibile te lo dicono. Tra l’altro essendo giovane è ancora più difficile, perché ti sconsigliano di prendere il rene di una persona anziana.
È brutto a dirsi, ma dovevo aspettare che moriva un giovane e tra l’altro il rene di un morto dura di meno di uno vivente.
Quindi lo hai chiesto a tua zia?
Prima l’ho detto a mia fratello che all’epoca aveva 39 anni. Non se l’è sentita e sinceramente lo capisco. Mi è stato sempre vicino in quel periodo, ma ha tre figli e mi rendo conto che sia una scelta difficile, quindi non ho insistito.
Poi è arrivata zia Flavia che si è proposta senza che le chiedessi nulla. È venuta da me e mi ha detto: “Non ce la faccio più a vederti soffrire”.
Ti ha visto crescere…
Mi ha visto crescere e mi ha visto tribolare. Abita proprio qui di fronte e ci vediamo sempre, poi come ho detto mi è stata vicino tutto il tempo del ricovero al Gemelli e non solo.
Com’è andata l’operazione?
Prima sono iniziate le visite per la compatibilità e ha fatto un colloquio con il primario. L’hanno rigirata come un calzino, perché per donare devi stare in condizioni di salute perfette.
È andato tutto bene, così 18 ottobre mi hanno ricoverata e il 24 ottobre 2018 mi hanno operata al Policlinico Umberto Primo. Anzi, “ci” hanno operate. Lei era serena, io invece non la smettevo di piangere.
È salita prima lei, intorno alle 8 e mezza del mattino, poi alle 10 e mezza sono entrata io in sala operatoria. Gli interventi sono andati bene, anche se lei ha sofferto di più perché si trattava di un espianto. A me è andato tutto benissimo, basti pensare che ho fatto subito sette litri di pipì.
Il 24 ottobre sono passati due anni da quell’intervento. Cosa vuoi dirle pubblicamente?
Che mi ha ridato la vita. Io sono nata, sono morta e ho ricominciato a vivere quel 24 ottobre. Voglio ringraziare di cuore lei e il marito, mio zio Roberto Milella, per esserci stato vicino.
Perché hai deciso di farlo raccontando questa storia?
Perché penso possa servire anche a dare coraggio a chi si trova nella mia stessa situazione. Per esempio quando facevo dialisi al Nomentana Hospital ho conosciuto un ragazzo che faceva dialisi come me e non ne voleva sentir parlare di trapianto, perché aveva paura. Poi mi diceva che ormai si era rassegnato al fatto che ormai era quella la sua vita. Lui faceva il turno di sera e io di mattina, quindi non ci incontravamo mai. Ma quando capitava ci parlavo e gli consigliavo di farlo. Tempo fa l’ho incontrato da Paggi e mi ha detto che si era messo in lista e che forse anche il fratello poteva donare. Non so se lo abbia fatto, ma già che si sia convinto è un grande passo.
Quali sono i tuoi progetti e sogni futuri?
Mi piacerebbe costruire una famiglia tutta mia. Purtroppo prima che succedesse tutto questo convivevo con un ragazzo, ma poi ci siamo lasciati. Da lì è iniziato tutto. Non so se me l’ha “tirata” o se ho accumulato un po’ di stress e può aver influito.
Poi mi voglio trovare qualcosa da fare, un lavoro. Però devo prima risolvere alcune questioni. Al momento ho un’invalidità minima e ho dovuto mettere l’avvocato per rivederla e per prendere la 104. Io adesso sto bene, ma devo comunque fare controlli e anche prendere pasticche. Devo ottenere questo certificato anche per non pesare su mi chi offrirà un lavoro.
Come ti ha cambiato tutto quello che hai vissuto?
Non ho più paura di nulla. Stavo per morire, figuriamoci se ci può essere qualcosa che mi mette paura oggi. Non dico di essere diventata un po’ più cattiva, ma mi sento fortificata.