“In gioco la libertà d’espressione”

L’ex presidente Donald Trump coi suoi eccessi verbali pone al centro una domanda che non può essere relegata come fosse espressione di un semplice suo interesse

Donald Trump vuole portare in giudizio i giganti della comunicazione del nostro tempo: Facebook, Twitter, Alphabet, la holding di Google. Essendo soggetti immateriali dovranno rispondere alla citazione in tribunale i loro dirigenti.

Aveva iniziato il contenzioso coi social media già nei panni di presidente degli Stati Uniti, ma ne era uscito, di fatto, soccombente. Ed è questa una nota che obbliga alla riflessione. Uno degli uomini più potenti della Terra silenziato nei suoi eccessi verbali riportati nei brevi scritti che appaiono al mondo intero.

La replica è assai semplice. Si trattavano di eccessi veri e propri, la prova di forza dei social media dimostra che non si guarda in faccia a nessuno: gli eccessi verbali – questa la tesi – vanno causticati senza remore.

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Anche nei panni di presidente, Donald si è visto bannato come uno degli ultimi degli idioti che starnazzano in rete. Ma la fine del suo spazio di libertà, comunque garantito, si è totalmente chiuso quando ha perso le elezioni.

E allora il vecchio Donald si appella al Primo Emendamento. Lo ha fatto nella conferenza stampa di mercoledì. Trump ha tuonato come sa fare, ma ha anche annunciato tre azioni legali. Sono consegnate alla corte federale in Florida. I querelati sono Mark Zuckerberg per Facebook, Jack Dorsey per Twitter e Sundar Pichai per Google.

La richiesta è di ripristinare gli account dell’ex presidente, oltre il risarcimento danni. L’argomentazione è quello della Class Action. Con una grande azione legale vincente si fa da apripista ad altri, con minori mezzi economici, che vorranno fare altrettanto. Ed è così che il capitalista Trump diventa sociale. Tanto più se perde.

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