La sua sembra la storia uscita da un romanzo. E’ la storia di un uomo nato in una famiglia di infermieri che a un certo punto della vita decide di dismettere il camice per vivere sulle montagne tra gli animali.
Da tredici anni Gianvito abitava all’interno di una baita su Monte Papese, una località di campagna a Castel Madama, dove allevava animali e si cibava di patate, carote, barbabietole e gran turco. Fu lui stesso a raccontare la sua scelta di vita da “spirito libero” al settimanale Tiburno il 26 gennaio 2016, quando Gianvito riconsegnò alla proprietaria “Roma”, una cucciola di pastore tedesco di 20 mesi fuggita per paura dei botti di Capodanno dalla finestra di una casa in località Monitola.
“ROMA”, LA CUCCIOLA DI PASTORE TEDESCO SMARRITA E SALVATA NELLA NOTTE DI CAPODANNO
Il destino fece incontrare Gianvito e Roma sull’Empolitana mentre il resto del mondo festeggiava l’arrivo del 2016 a suon di fuochi d’artificio.
Lui aveva cenato a casa dei genitori agli Arci e dopo il brindisi di mezzanotte si era rimesso in sella alla mountain byke per tornare a Monte Papese, in mezzo al bosco tra animali di tutte le specie e decine di cani.
Lei era appena fuggita per lo spavento dei botti dall’abitazione di una famiglia che l’aveva adottata e vagava disorientata sulla via Empolitana. L’incontro avvenne all’altezza del bar “La Movida”.
“Roma era in mezzo alla strada, al centro delle due carreggiate – raccontò Russo al settimanale Tiburno – auto che la schivavano, altre che inchiodavano. Mi sono detto: un altro cane no. Ma l’istinto mi ha portato a soccorrerla, per me un cane è come una persona, anzi di più”.
La bici portata con la mano sinistra, Roma accompagnata con la destra, insieme percorsero tre chilometri in salita raggiungendo la baita di Russo.
“La notte ha dormito accanto a me – proseguì Russo nel racconto – all’inizio era spaventata, poi si è tranquillizzata”.
Per venti giorni Gianvito Russo e Roma vissero nelle stesse quattro mura su Monte Papese, mentre proprietari vecchi e nuovi insieme ai volontari battevano palmo a palmo la zona alla ricerca dela cucciola sparita nella notte di Capodanno da una casa di Monitola.
La vicenda si concluse mercoledì 20 gennaio 2016 con la riconsegna di “Roma” alla proprietaria, la tiburtina Marina C. A sentire chi l’aveva svezzata e cresciuta, non era la prima volta che Roma si allontanava da quella che sarebbe dovuta essere la sua casa per sempre, mentre con Gianvito Russo il pastore tedesco sembrò aver trovato quel calore che soltanto un uomo come lui – che con gli esseri umani ha “rotto” da una vita – ha saputo donare.
“CON GLI ESSERI UMANI HO CHIUSO, PREFERISCO GLI ANIMALI”
Fu allora che Gianvito si raccontò a Tiburno. Primo di tre figli maschi di un infermiere del pronto soccorso del “San Giovanni Evangelista”, nipote di infermieri e medici, diplomato al liceo scientifico “Lazzaro Spallanzani”, laurea infermieristica conseguita nel 1994, Gianvito raccontò che nel 2009 aveva dismesso il camice professionale, dicendo addio al lavoro presso il carcere di Rebibbia, si dimise dalla clinica Nomentana Hospital di Fonte Nuova, chiuso la casa di Setteville di Guidonia dove abitava con l’ex moglie e dove tuttora risiedeva, per vivere da “spirito libero” sulle montagne.
“Sul lavoro mi hanno tagliato le gambe – confessò Russo – eppure sono sempre stato impeccabile. Per questo ho chiuso con le persone e amo soltanto gli animali, mi danno tanta serenità: sono cresciuto nella terra e in mezzo a loro.
Il lavoro? Mi arrangio, mi piacerebbe tornare a fare l’infermiere, anche insieme ai volontari, ma esclusivamente per curare i malati non certo per combattere coi colleghi”.
PECORE E CAPRE SBRANATE, LA GUERRA COI LUPI E LE BATTAGLIE CON LA REGIONE
Gianvito Russo abitava in un prefabbricato di legno circondato da pecore, capre, conigli, galline, piccioni, tortore, pappagalli e un numero imprecisato di cani trovatelli.
A febbraio 2019 l’allevatore finì di nuovo alla ribalta sul settimanale Tiburno facendosi portavoce di un problema di tutti i rappresentanti della sua categoria: l’invasione di lupi a Castel Madama. Negli ultimi tre anni infatti i branchi affamati aggredivano le greggi sbranando pecore e capre al pascolo. Danni economici importanti sia per il costo di ciascun capo che per il costo di smaltimento delle carcasse.
“Il lupo ci può pure stare – spiegò in quell’occasione Gianvito Russo – ma lo Stato ci deve risarcire, cosa che puntualmente non avviene perché non interessa a nessuno.
Secondo me in Regione non si rendono conto delle conseguenze del ripopolamento nei pressi dei centri abitati, tantomeno studiano soluzioni: non possiamo certamente diventare noi dei fuorilegge abbattendo i lupi.
La soluzione? Davanti ai certificati di morte dei veterinari Asl la Regione deve pagare, invece ci fanno presentare la domanda e gli uffici fanno trascorrere gli anni fino a farci stancare.
Questo è il nostro lavoro”.